I compagni che si alleano se sono in disaccordo

I compagni che si alleano se sono in disaccordo

Strano davvero il modo di scendere in campo da parte delle liste di «Liguria Viva», il movimento fondato da Ezio Chiesa, assessore della giunta di Claudio Burlando che aveva dato le dimissioni per contrasti con il Pd, dal quale è poi uscito. Il simbolo dei dissidenti di sinistra, a Genova dove obiettivamente è accreditato di minor peso, sarà a sostegno del candidato sindaco Marco Doria. A Chiavari, dove a questo giro di amministrative il movimento otterrà probabilmente il risultato più lusinghiero, sarà in concorrenza rispetto al centrosinistra. «A Chiavari non ci hanno voluto», ammette lo stesso Chiesa senza giri di parole. I compagni ci sono rimasti molto male, evidentemente.
Il fatto è che poi su Genova, i quaranta candidati consiglieri di «Liguria Viva», guidati dal capolista Gian Franco Ciappina, ex direttore dell’Ist, non è che abbiano poi idee così coincidenti con quelle del loro sindaco. Ezio Chiesa, che non ha certo il vizio di dire bugie, snocciola alcuni punti, anzi alcune «pillole» visto che «quando hanno scritto il programma noi non c’eravamo». Insomma, un accordo basato sulla stima reciproca e sulla parità. Comunque ecco i punti che la lista vuole chiarire: «La moschea si dovrà fare, ma non al Lagaccio (Doria dice che sarà il suo primo atto, ndr) - chiarisce Chiesa -. Dovrà essere molto accessibile con i mezzi e facilmente controllabile. Penso che la soluzione ideale sia in zona via Di Francia». Anche sulla Gronda i compagni parlano lingue diverse: «Si dovrà fare - è l’imperativo di Liguria Viva -. Ma possibilmente con un altro tracciato, non deve attraversare tre valli. E poi si dovrà declassificare il nodo di Genova rendendolo gratuito come fosse la tangenziale di Milano». Chiesa però ci tiene a precisare: «Nel programma di Doria non ho letto che vuole ripartire dall’ozpione zero, cioè dal no assoluto alla Gronda, ma aspetta la valutazione di impatto ambientale».
Sull’acqua il leader del movimento chiede la restituzione del 7 per cento delle bollette, chiesto ai cittadini come rendimento per il capitale investito dalle società, per rispettare il risultato del referendum. Marco Doria però ogni volta che si parla di ridurre le entrate per il Comune e per le società ad esso collegato (dai parcheggi a ogni tipo di tassa) non ci sente. E addirittura parla apertamente di voler alzare l’Imu. «Eh, ma a quello sarà costretto - lo giustifica Chiesa -. Perché lo Stato si prenderà percentuali che prima non prendeva dall’Ici. Quanto all’acqua, mah, forse andrà oltre la nostra richiesta: vuole proprio ricomprarsi il ramo d’azienda che serve l’acqua. La vedo difficile, visto che soldi non ce ne sono, ma sarebbe anche più di quello che chiediamo noi».

Sì, così magari il 7 per cento lo prenderebbe il Comune anziché Iren? E poi Tursi ricomprerebbe l’acqua dopo essersi svenduto anche dighe e acquedotti? «Ma mica l’aveva venduti lui», prova a frenare Chiesa. Ah già, è sempre colpa del compagno che c’era prima.

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