L'Edipo tradotto da Sanguineti non sorprende

Sono tutti abbarbicati su una roccia assieme alle radici di un grosso albero i protagonisti dell'Edipo Tiranno di Sciaccaluga che li vuole in un mondo arcaico, in cui la civiltà sta solo per nascere. Niente colonne di marmo né gli sfarzi dell'Atene di Sofocle per la Tebe di Edipo, un «eroe» la cui storia ha al proprio centro la nascita del pensiero e della coscienza. Un mito simmetrico a quello di Prometeo in cui risulta esplicita la sfida degli uomini verso gli dei. L'Edipo del regista genovese è un principe primitivo di una tribù alle soglie della civiltà, il cui sapere è al centro della sua tragedia. Edipo è un eroe imperfetto, che non ammette la sua contraddittorietà, scoprendo che l'oscuro non può essere espulso dalla propria coscienza, da qui il vero dramma dell'umanità. Confrontarsi con un testo di tale importanza non è da poco e come ha ammesso il regista stesso si resta sbalorditi riconoscendo la grandezza di tal pensiero e di tale scrittura teatrale. La scelta di voler fare uso per questa messa in scena della traduzione di Sanguineti non ha stupito dati i rapporti di stima e collaborazione decennale da parte del Teatro Stabile di Genova con il poeta, ma se questa traduzione ha creato volutamente una lingua rozza che cerca di restituire lo sforzo dell'umanità di articolare in parola il pensiero nascente, beh, in certi punti arriva di difficile comprensione. L'utilizzo di una sintassi grossolana, oltre a non essere gradevole, per chi non conosce a pieno il testo, fa perdere facilmente il filo della vicenda. Un plauso a Nicola Pannelli, il protagonista, che ha tirato fuori in un crescendo tutta la forza della teatralità di Edipo.

In lui c'è il totale abbandono alla vicenda, addentrandosi completamente ad ogni livello di profondità necessario per dare la giusta risonanza a quel tormento generato dalla scoperta dell'orrore dentro sé stesso. Sotto tono la figura di Eros Pagni nel coro, risolto dal regista in un'unica figura.

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