Ghizzoni sotto i riflettori, tra la Roma e la Libia

Per Unicredit da un lato c'è il congelamento delle azioni di Tripoli (primo azionista col 7.5%), dall'altro la difficile cessione della Roma a una misteriosa cordata Usa

Ghizzoni sotto i riflettori, 
tra la Roma e la Libia

La Unicredit del dopo Pro­fumo, a 10 giorni dal primo bi­lancio del nuovo ceo Federico Ghizzoni in agenda il 23 mar­zo a Londra, si trova di nuovo sotto i riflettori. E non solo per faccende tipiche bancarie, che pure hanno e avranno un loro peso con l’arrivo degli stress test. Ma soprattutto per una serie di coincidenze che ne fanno girare il nome della banca un po’ dappertutto: sia sul fronte estero, perché il pri­mo azionista di Unicredit, con il 7,5%, è il governo libico di cui da ieri Ghizzoni ha congelato i diritti di voto; sia su quello sportivo, visto il controllo eser­citato sulla As Roma di Totti & c. e la trattativa in corso per la cessione a una cordata Usa; sia, infine, per un’altra coinci­denza, ossia che dopo la Ro­ma, il calcio giocato entra in banca anche dalla porta princi­pale: il prossimo gran capo del­la Comunicazione del gruppo sarà l’attuale presidente della Lega di Serie A, Maurizio Beret­ta, che già da lunedì dovrebbe cominciare a prendere le misu­re con la nuova funzione, an­che se continuerà a seguire la Lega fino all’individuazione del successore. Non che Beretta non abbia alle spalle esperienze diverse. Anzi: è il calcio, semmai, l’ec­c­ezione nel suo curriculum fat­to di successi in Rai, Fiat e Con­findustria; prima giornalista, poi manager puro.

Chi ha avu­to modo di conoscerlo a fondo gli riconosce straordinarie «qualità gestionali, competen­ze e capacità relazionali». Re­sta l’irritualità della provenien­za dal mondo del calcio, dove tra l’altro potrebbe essere sosti­tu­ito proprio dall’attuale presi­dente della Roma, Rossella Sensi. In ogni caso Beretta va a riempire l’ultima casella im­portante non rinnovata dopo l’uscita di Profumo e occupata da Antonella Massari, che pas­sa a guidare una nuova unità del gruppo. A Beretta, che pa­re aver strappato un contratto principesco, il compito di rive­dere a fondo un settore inter­no delicato e forse un po’ tra­scurato da Profumo, al punto che nel tempo sono proliferati i costosi consulenti esterni. Per quanto riguarda la Ro­ma, il dossier gestito in prima persona dal «coo» Paolo Fio­rentino dovrebbe chiudersi en­tro giovedì con il passaggio del 67% alla cordata Usa che fa ca­po a tale Thomas Di Benedet­to. Un’operazione che, data l’eccezionale popolarità della Roma, è seguita con ansia da tifosi si destra e sinistra, ma non senza veleni dovuti alla posta in palio: si vedano le nu­merose manovre di disturbo da parte di millantanti acqui­renti, e pure le malignità che fanno notare quanto siano mi­­steriosi gli offerenti Usa, guar­da caso residenti nel Delawa­re, lo Stato che oltre alle agevo­­lazioni fiscali, permette alle so­cietà anche lo schermo totale sui reali proprietari.

Poi c’è la Libia,il caso che for­malmente non comporta nes­sun problema (cosa c’è di me­glio di un’azionista che non può venire in assemblea a vota­­re?), ma in realtà è un’anoma­lia che non potrà durare a lun­go: formalmente è come se a Intesa venisse congelata la Fondazione Cariplo; o a Gene­rali, Mediobanca. Può dun­que essere che i libici restino comunque azionisti anche nel­­l’eventuale dopo Gheddafi. Ma di certo il problema prima o poi si dovrà porre. E c’è da scommettere che, come si è vi­sto in autunno con la defene­strazione di Profumo, da parte delle fondazioni azioniste e dei loro soci, qualche tensione potrebbe di nuovo venir fuori.

Molto dipenderà - forse tut­to - da quello che Ghizzoni di­rà il 23 a Londra, sull’anda­mento del gruppo, la redditivi­tà, le sofferenze e soprattutto in tema di stress test e di patri­monializzazione della banca presente e in vista di Basilea 3.

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