Gianfranco nasconde i muscoli e ordina toni bassi

RomaFini cerca di mettere il guinzaglio ai suoi dobermann. Il presidente della Camera, cui non piace l’ornitologia come ammesso dal palco di Mirabello escludendo che tra Futuro e libertà si annidino sia falchi sia colombe, è stato chiaro: bando alle provocazioni. Prima di partire per il Canada Fini ha impartito la lezione ai suoi: ripetete che siamo stati cacciati, che siamo vittime, che manterremo fede al patto sottoscritto con gli elettori, che non saremo noi a far cadere il governo, che se sarà crisi sarà colpa della Lega; s’è raccomandato toni bassi, scongiurando le esplosioni di Granata tipo quelle che prefiguravano aperture ad alleanze con Vendola; ha chiesto cautela nelle dichiarazioni per non prestare il fianco agli avversari pidiellini, pronti a smascherare l’eccessivo antiberlusconismo che cova nelle anime di qualche militante nel suo plotone. Cautela con le parole, mi raccomando. La riprova è che l’altro ieri, quando ha letto le prime battute della dichiarazione di Angela Napoli, secondo cui alcune parlamentari forse si sarebbero prostituite per esser messe in lista e ottenere un seggio, Fini è andato su tutte le furie. Ha sconfessato la sua supporter («Parole gravi») e l’ha redarguita obbligandola a fare ammenda («si scusi»).
E pure il gianburrasca Filippo Rossi, penna scatenata del finismo più aggressivo, s’è preso una sonora bacchettata da parte di Menia e Moffa («Non vogliamo partecipare a questa sorta di faida di Scampia del centrodestra. Lo stile fa la differenza e non vogliamo abbassarci a livelli volgari, patetici e controproducenti»), ma anche di Ronchi, Urso e Viespoli («L’asprezza dello scontro politico non giustifica in alcun modo gli insulti e le offese personali. Saremo tanto più credibili quanto più saremo coerenti con una linea di responsabilità e di stile politico»). Insomma, per Fini questa dev’esser l’ora dei pigolii piuttosto che dei ruggiti. Tanto che Granata e Briguglio, negli ultimi giorni, sembrano essersi morsi la lingua. L’intento è quello di sopire i personalismi che rischiano di evidenziare le crepe interne al Fli e di provocare qualche defezione tra la truppa. Un’ipotesi, questa, che i finiani tuttavia escludono e, anzi, rilanciano: «Il nostro gruppo s’ingrossa: dal Pdl è in arrivo il 36esimo parlamentare». Voci di Transatlantico sussurrano il nome del pidiellino Gianni Mancuso.
Soltanto Bocchino s’è smarcato dalla linea, preannunciando le dimissioni di tutti i componenti di Futuro e libertà che ricoprono incarichi dirigenziali nel Pdl a livello nazionale e locale». Uno strappo in più nei confronti del Popolo della libertà che ha mandato su tutte le furie i più mansueti e moderati Moffa, Menia e Viespoli che hanno sconfessato la linea del loro capogruppo alla Camera. Rendendo ancora più palese la spaccatura al proprio interno. Quale la linea ufficiale? Purtroppo non c’è il capo a dirimere la questione, visto che è partito alla volta di Ottawa per partecipare alla IX riunione dei presidenti delle Camere dei Paesi membri del G8.

Un presidente della Camera sempre più ostaggio delle proprie contraddizioni: non salutò nemmeno i pidiellini in piazza San Giovanni a Roma perché il presidente della Camera «non fa comizi». Ma poi a Mirabello arringa la folla del suo nuovo partito.FCr

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