Gianfry indossa la toga. Sulla casa di Montecarlo ammicca agli amici pm

L’ex leader di An ha stretto un asse con i giudici e adesso li invoca per l’affaire monegasco. Le tappe di un idillio nato per colpire il Cav

Iniziative ufficiali, abboccamenti e persino fuori onda formato lapsus. Pochi mesi, continui fuochi d’artificio. C’è un Fini che ammicca alle toghe e al loro sindacato, c’è un Fini che ironizza a ruota libera con un Procuratore sul Cavaliere e c’è un Fini che ormai si sovrappone alle toghe, le evoca e le invoca come una stampella alla propria azione. Domenica, a Mirabello, Fini, il Fini che non risponde alle inchieste del Giornale, il Fini che evita le più elementari domande sulla casa di Montecarlo, il Fini muto sul capitolo Tulliani, si è addirittura buttato nelle braccia dei giudici: ha benedetto le indagini e ha invocato punizioni esemplari per i giornalisti che lo scomodano.
Il Cavaliere contro le toghe, Fini in toga. Qualcuno forse, all’inizio, l’avrà scambiato per un gioco delle parti: aggressivo il premier, ecumenico il Presidente della Camera. Ma col tempo si è capito che proprio sul fronte della giustizia si stava consumando una lacerante divisione fra il fondatore e il cofondatore del Pdl. Il 6 novembre scorso, Fini, “spiato” da una telecamera, parla a ruota libera del Cavaliere con il procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi: «L’uomo confonde il consenso popolare con una sorta di immunità». Trifuoggi chiosa sobriamente: «Voleva fare l’imperatore romano».
Potrebbe essere solo una battuta, anche se dalle parti di Arcore e del Pdl non la prendono molto bene. Ma quel piccolo incidente rivela tutta la distanza che separa ormai i due. Se Berlusconi dice ai magistrati che indagano sulla protezione civile, «vi dovete vergognare», lui lo corregge seccamente: «No». Quel che conta, naturalmente, è il controcanto, il puntiglioso smarcamento, la presa di distanza quasi esibita, al di là dei temi, pur complessi. E’ sempre il Presidente della Camera a piantare una bandierina dopo l’altra, sempre nel segno di una polemica sotterranea con Berlusconi. Così si cimenta con un’ovvietà: le riforme non possono andare contro l’autonomia dei magistrati; poi, nel frangente strategico in cui da Palermo il pentito Gaspare Spatuzza parla dei presunti rapporti fra i fratelli Graviano e Berlusconi, lui spiega che il controverso concorso esterno, il reato che nel codice non c’è, non si tocca. E ancora una volta quel che importa è il messaggio che inevitabilmente quella dichiarazione mette in moto. Certo, Fini ammorbidisce quella e altre esternazioni, diluisce e stempera, ma poi torna alla carica. E l’Anm se ne rende perfettamente conto; il numero uno Luca Palamara alla vigilia di un incontro con Fi afferma: «Il quadro politico è mutato». Così un appuntamento rituale con il Presidente della Camera si trasforma nel laboratorio di un nuovo rapporto fra le toghe e un pezzo del centrodestra. Il tutto nel mezzo di una querelle senza fine che tocca tutti i nodi da sciogliere: dal processo breve alle intercettazioni.
Ora i colonnelli finiani compiono un altro passo: un viaggio nelle procure italiane per capire i problemi concreti della giustizia. Ancora una volta le coincidenze sono sospette: il ministro Angelino Alfano promette stanziamenti per la giustizia e immediatamente parte il tour dei Granata, dei Bocchino, dei Lo Presti. Fini vuole tessere la sua rete e così dà il suo biglietto da visita ai Pm che da anni conducono la danza intorno ad Arcore. Facile avventurarsi in dietrologie sui futuri equilibri del postberlusconismo.

Del resto i contatti sono istituzionali, ma Fini ha anche ottime entrature in quel mondo tradizionalmente schierato contro la coalizione di centrodestra. L’avvocato Carlo Izzo, il legale dei Tulliani, è il cognato del presidente della corte d’Appello di Roma Giorgio Santacroce. Ma questa volta Fini può andar fiero del cognato.

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