GIANLUCA GUIDI: «Sul palco per raccontarmi cantando»

«Sarà uno spettacolo che unisce eventi pubblici e ricordi privati»

«La resistibile ascesa di Gianluca G» è il bizzarro sottotitolo del nuovo spettacolo scritto da Calabrese, Pallottini, Giovanetti, Guidi, diretto e interpretato da Gianluca Guidi ... e sottolineo se. Ambizioso one man show che debutta oggi al Brancaccio (in cartellone fino al 21 gennaio) con sei girls e un’orchestra di 12 elementi diretta da Riccardo Biseo. Forgiato come una corsa a ostacoli tra prosa spinta e atmosfere simil Brodway, Shakespeare e Neil Simon, deviando di refrain in refrain sugli acuti di Bacharach e Sinatra, e sottolineo se è la naturale prosecuzione di altri due spettacoli pensati e portati in scena nell’ultimo periodo dal quarantenne Guidi: Chiacchierata informale del ’95, uno spettacolo di nicchia diretto da Ennio Coltorti allestito in una piccola libreria romana a Trastevere con accompagnamento al pianoforte, e Stanno suonando la nostra canzone regia e marchio produttivo di Gigi Proietti. Due one man show che hanno legittimato l’ex figlio d’arte (il padre di Gianluca Guidi è Johnny Dorelli, la madre Lauretta Masiero), finalmente promosso interprete di razza.
Allora Guidi, è stato difficile staccarsi l’etichetta di «figlio di»?
«Abbastanza. Quasi tutti i figli d’arte hanno difficoltà all’inizio perché la gavetta per loro è penalizzante. Io ho avuto anche un altro problema: dicevano che fossi antipatico. Non so dire il perché. A volte si fa confusione sulla vera natura delle cose, chissà, forse in passato ho commesso qualche errore. La mia, però, era solo voglia di difendermi».
Perché ha scelto di intitolare lo show prendendo in prestito una strofa di «E se domani»?
«Perché ogni volta che la intono mi torna in mente un episodio avvenuto molti anni fa. Durante una festa di piazza stavo sul palco a cantare questa splendida canzone di Mina quando, nel bel mezzo del ritornello, mi hanno tirato un cartoccio di latta. Il nome della località non lo dico per rispetto, ma l’ho ribattezzata Capparola».
Poca tivù («Linda e il brigadiere»), zero salotti, e nell’89 l’esordio come cantante al Festival di Sanremo: cosa ricorda di quell’esperienza?
«Che la canzone si intitolava Amore è ed è arrivata ultima. Ma non posso dire altro perché il resto è nel copione dello spettacolo, uno show che unisce racconti pubblici e ricordi privati, senza esagerare però perché non approvo l’idea di dire oltre misura come fanno tanti».
Cosa le hanno insegnato i suoi 16 anni spesi nel teatro?
«Mi hanno fatto maturare, è venuta fuori la mia vera natura e sono cambiate alcune priorità. Eppure, non mi va giù che la notorietà vera sia arrivata solo grazie a un’ospitata in radio dall’amico Fiorello: un giorno mi ha invitato per sostituire Baldini e da allora la mia risata è diventata un must».
Dopo l’esperienza di «The Producers», anche in questo show la vedremo recitare, cantare e ballare?
«La mia risata è contagiosa, la voce è potente, ma non ho il dono della disciplina di Tersicore: sono negato per il ballo.

Ci penseranno le ragazze».
Qual è il momento dello show che le piace di più?
«Quando si chiude il sipario e se va a magna’ tutti insieme. Oggi purtroppo non ci sono più le grandi tavolate di una volta e un po’ mi dispiace».

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