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Il Giappone incorona Koizumi con una valanga di consensi

Marcia trionfale del premier che conquista oltre 300 dei 480 seggi. Crolla il Partito democratico: il leader sconfitto si dimette

Qualche volta le sfide riescono, anche in questi tempi grami per i governanti. Le sfide e le scommesse. Nessuna ha incontrato un tale successo come quella del premier dai folti capelli brizzolati: il Partito liberal-democratico ha stravinto in Giappone per l’ennesima volta ingigantendo la propria maggioranza parlamentare e uscendo con una vittoria record dall’appuntamento alle urne considerato fra i più insidiosi della sua storia. Il Parlamento di Tokio si compone di 480 seggi, dalla notte scorsa il partito di Junichiro Koizumi ne controlla da solo oltre 300, mentre la principale forza d’opposizione, il Partito Democratico, ne perde almeno 70, scendendo a quota 100. E va ricordato che la «terza forza», il partito buddhista Komeito, è al governo coi liberaldemocratici. L’ampiezza della vittoria consentirà ora al partito di Koizumi di assumere il controllo di tutte le commissioni parlamentari e quindi di poter moltiplicare la velocità delle riforme. Il risultato non si presta a equivoci: poco più di mezz’ora dopo la chiusura delle urne, di fronte al linguaggio unanime degli exit poll, il leader del partito d’opposizione Katsuya Okada, ha presentato le dimissioni.
Koizumi aveva puntato grosso. Aveva sciolto la Camera in cui il suo partito e i suoi alleati detenevano una modesta maggioranza e dopo avere dovuto incassare la brutta sorpresa della bocciatura da parte del Senato del progetto di legge cui teneva di più: la riforma delle poste. Un dettaglio curioso e indicativo è che il premier di Tokio non aveva potuto sciogliere il Senato «infedele» ma, in base alla Costituzione solamente la Camera «fedele». Ma quello cui Koizumi puntava non era un’operazione aritmetica, aveva voluto convocare delle elezioni per poter tenere, in realtà, un referendum. Chiedere la fiducia, invece che a questo o quel ramo del Parlamento, al popolo giapponese. Il suo programma si riassumeva in una parola sola «kaikaku», cioè «riforma». Qualcosa di cui i giapponesi sentono il bisogno da parecchi anni, almeno da quando il «miracolo nipponico» si è arenato negli anni ’90. Koizumi ha avuto un’intuizione: invece di presentarsi con un programma completo, articolato e dunque a tratti necessariamente un po’ oscuro ha scelto un tema solo, facile da chiarire e ne ha fatto un simbolo: la riforma postale. Che non era una necessità tecnica perché i postini giapponesi sono i più puntuali del mondo, ma un caso estremo, esemplare di eccessiva crescita burocratica; il servizio postale serve a ben altro che a recapitare puntualmente le lettere: fa «concorrenza sleale» alle banche, monopolizza i versamenti delle pensioni, concede crediti, serve infine da canale per i finanziamenti illegali ai partiti e ai candidati. Koizumi voleva privatizzarlo. Se ha incontrato massicce resistenze, anche del suo partito, era perché in questo modo andava a colpire un punto nevralgico. Di qui la rivolta di un nutrito gruppo di «franchi tiratori».
Di qui la strategia del primo ministro: sfidare le gerarchie politiche anche del suo stesso partito, per rivolgersi direttamente agli elettori. Imbarcando nelle liste, per sottolineare il suo messaggio, molte persone estranee alla vita politica o in essa debuttanti: imprenditori, uomini e donne del mondo dello spettacolo, la ex miss Università di Tokio, molte donne (che sono state subito ribattezzate «madonne delle riforme»). Ed egli stesso s’è rivolto alla gente con modi che hanno ricordato immediatamente agli esperti quelli lanciati un quarto di secolo fa in America da Ronald Reagan, il «grande comunicatore».
Lo stile è l’uomo? Non basterebbe se la gente non avesse l’impressione confortante che Koizumi punti sul dialogo aperto perché sicuro di farsi capire e di guadagnare tempo. Le riforme hanno segnato troppo a lungo il passo. Ostacoli enormi, quasi «istituzionalizzati», sono riusciti a rallentarlo, boicottarlo, spesso bloccarlo nei lunghi anni della stagnazione nipponica. Confortato dal trionfo di ieri, Koizumi può osare dove gli altri hanno avuto paura. Il Partito liberal-democratico giapponese è il vessillifero delle riforme ma è anche, nella sua essenza culturale, un partito conservatore. Lo dimostra fra l’altro la sua posizione in politica estera e in quella della difesa. Okada aveva fatto promesse alla Zapatero (ritiro dall’Irak, chiusura della basi americane). Koizumi lascerà i soldati a Bagdad e confermerà l’alleanza con Washington. È l’uomo che tutti gli anni rende omaggio nel tempio di Yasukuni alla memoria dei caduti giapponesi di tutti i conflitti.

Senza eccezione per i generali impiccati dagli americani come criminali di guerra dopo il 1945.

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