La curiosità per questo splendido libretto (Caro amico e collega. Lettere di Étienne Gilson ad Augusto Del Noce, Cantagalli, pagg. 170, euro 18,50) mi è nata dal nome del curatore, Massimo Borghesi, filosofo tanto geniale quanto understated, per il cui pensiero - che, da letterato beota quale sono, posso concedermi con moderazione - nutro vera ammirazione.
Borghesi, in una magistrale e rigorosa ricostruzione del rapporto che nacque, a Venezia, nel 1964, tra il grande pensatore francese e lallora giovane filosofo controcorrente italiano, ci introduce in un clima intellettuale la cui eccezionalità si può comprendere sempre meglio con lallontanarsi di quegli anni. Che erano sicuramente anni drammatici (tutti gli anni sono drammatici), anni di guerra fredda, anni nei quali non tutti i soprusi e non tutte le stragi giungevano alla nostra conoscenza, anni di sogni poi irrisi dalle migliori intelligenze del nostro Paese.
Eppure oggi, meglio di allora, ci è possibile apprezzare un clima di libertà intellettuale e di fecondità creativa - che è sempre frutto di una struttura morale ben salda - del quale sono sempre più numerosi coloro che ne sentono la mancanza.
Étienne Gilson, uno dei due «dioscuri» (come li definì Gustavo Bontadini, laltro era Maritain) del neotomismo francese - sempre che il neotomismo si addica a tutto larco dellopera gilsoniana - fu autore di alcuni fra i testi più importanti del 900, tra cui Lo spirito della filosofia medievale, che cito perché, dovendolo studiare, potei apprezzarne anche la magnifica tessitura letteraria: Gilson era anche un grande scrittore. Al tempo dellincontro, Del Noce era ancora un giovane sconosciuto, senza cattedra e senza pubblicazioni in volume. In questo epistolario noi possiamo seguire passo passo la scoperta che lallora ottantenne nume fece del valore e della portata del pensiero di un gigante che la nostra cultura ha dapprima relegato nel novero dei «reazionari» per poi diventare troppo ignorante per poterlo rivalutare in modo adeguato.
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