Era una mattinata bigia di freddo pungente. Una folla vociante di ribelli, capeggiata dal corpulento capopopolo Pierovic Sansonettovisk, presidiava il massiccio edificio di viale Poliklinikov. I compagni redattori lo guardavano affamati ma orgogliosi, e laffetto per la sua barba attenuava quel vago senso di spossatezza che ormai piegava le povere membra. I cartelli rispecchiavano tale contraddizione in seno al popolo: «Ferrerov pasta e fagioli mangiala tu, noi vogliamo le rose», era scritto su uno. Intanto, allinterno del Partito, la battaglia infuriava. La sala era stracolma e molti avevano le lagrime agli occhi, ma per laria resa pestilenziale dalle mille sigarette Turmac. Non erano affatto chiari i giochi dietro le quinte dellassemblea del Partito, rigidamente tenuto in mano dal generale Ferrerov e dal colonnello Grassimovic. Quando il generale parlò, la sala sembrò ghiacciare: «Gloriosa bandiera su Liberazionosc, Sansonettovisk nyet, commissario politico nyet. Fidato uomo di Sindacato Unico, Dinov Grecov, da! Stalinisti voi, comandiamo noi. Buon lavoro a tutti». La parola lavoro evocò ai più le vacanze ai gulag, organizzate solo pochi anni prima dai Capi più amati dal popolo per il piacere del popolo. Nel successivo fuggi fuggi, si distinsero i valorosi Frankovic Gjordanovic e Nikita Vendola, che lasciò scritto: «La nostra storia non si ferma qui, ritorneremo». Nessuno seppe mai né il luogo né la data.
Per fortuna si era trattato soltanto di un altro pezzo di satira.
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