Giovanni Calibita

Su questo santo orientale del V secolo non si sa molto e può darsi che sulla sua figura si sia formata una specie di leggenda-fotocopia a cui, nel tempo, bastava cambiare il nome per trovarsi di fronte a santi diversi ma protagonisti della stessa storia. Si dice che questo Giovanni appartenesse a una ricca famiglia patrizia e che a un certo punto abbia lasciato la casa paterna per farsi monaco. La comunità che scelse era quella dei cosiddetti «insonni», monaci che non interrompevano mai, né di giorno né di notte, il canto dell’Ufficio divino, dandosi il cambio per gruppi. Del loro fondatore sappiamo che si chiamava Alessandro ed era detto Akimete (che in greco significa appunto «insonne»). La storia di Giovanni continua dicendo che, dopo diversi anni, il santo fece ritorno a casa sua. Ma si presentò vestito da mendicante ed era così emaciato (più la barba e i capelli lunghi) che i suoi non lo riconobbero. Né egli fece alcunché per farsi riconoscere. Chiese solo la carità di poter alloggiare in una capannuccia che stava oltre il muro di cinta della villa paterna, fuori dalla porta. Ora, proprio quella capanna gli fornì il soprannome con cui è ricordato, Calibita (dal greco «kaluby», capanna). Naturalmente, non è dato di sapere perché il santo abbia scelto quella singolare forma di penitenza. Forse, chissà, sentiva di non avere ancora molto da vivere.

Infatti, non durò molto e solo quando fu in fin di vita rivelò alla madre la sua vera identità, chiedendo di venire seppellito proprio dentro alla sua capanna. Era il 450 e sul luogo, in seguito, fu costruita una chiesa.

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