Giuliano Gemma: «Però, com’è attuale il mio Ringo»

Il popolare attore: «Nei titoli ero Montgomery Wood, ma fremevo per avere il mio nome vero»

da Venezia

«I’m Back» («Sono tornato»). Giuliano Gemma scherza citando le scritte sulle t-shirt che le sue due figlie, Giuliana e Vera, insieme a jeans e ad altri capi, stanno lanciando proprio qui a Venezia con una nuova linea di abbigliamento chiamata ovviamente «Spaghetti Western». Ma lui è al Lido, ai piedi gli stivali d’ordinanza, per la rassegna «Western all’italiana» con due tra i titoli più rappresentativi, Il ritorno di Ringo di Duccio Tessari e Un dollaro bucato di Giorgio Ferroni. «Ho rivisto quest’ultimo - racconta - a 42 anni di distanza e mi ha fatto un’ottima impressione. È attualissimo. Ha un ritmo incessante e ti fa capire che tipo di registi straordinari ci fossero dietro la macchina da presa». Verrebbe da aggiungere un «non come quelli di oggi», come detto anche dal grande assente Quentin Tarantino. «Ma lui - spiega - ragiona da americano. Lì hanno mezzi economici molto diversi dai nostri. Dobbiamo ringraziarlo perché ha dato una spinta a questa rassegna ma i suoi sono giudizi con i paraocchi, di uno che è troppo al di fuori dalla nostra realtà».
Certo è che quando gli senti dire che 13 dei 17 western da lui interpretati sono stati campioni d’incasso (Il ritorno di Ringo nel 1965 ha superato il miliardo e 300 milioni di lire), ti rendi conto come non si possa fare nessun tipo di paragone commerciale con il cinema di oggi. Ricorda Gemma: «Era una produzione popolare in cui il pubblico si riconosceva. Si andava a vederli per evadere, superare le frustrazioni personali e magari immedesimarsi nel ruolo del protagonista e immaginare di sconfiggere i rivali di tutti i giorni». Così l’avventuriero Ringo, che nel capostipite Una pistola per Ringo di Duccio Tessari, chiamato dallo sceriffo, sgomina la banda di messicani asserragliati con gli ostaggi in un ranch (il modello è Ore disperate di Wyler), diventa per gli italiani un eroe. In questi primi film Gemma compare col fantasioso pseudonimo di Montgomery Wood e viene doppiato da Pino Locchi, due peculiarità mal sopportate perché, dice, «il nome l’ha inventato il produttore che me l’ha imposto. Il mio unico pensiero era unicamente di tornare ad essere Giuliano Gemma. Il doppiaggio invece era una necessità perché quando si montava il film io ero magari all’estero e non potevo mettere la mia voce».
Dal 14 settembre lo rivedremo colonnello della Guardia di Finanza nella serie Il capitano su Raidue, un ruolo antitetico a quello dei finanzieri corrotti in L'ora di punta di Marra.

«È uno dei pochi film che ho visto qui al Lido e purtroppo non mi è piaciuto», ammette sconsolato Gemma che però non ha amato neanche l’americano «western intellettualoide» The Assassination of Jesse James con Brad Pitt. Come far fuori in un solo colpo l’impegnato cinema italiano e quello statunitense.

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