Con «Giulio Cesare» nei misteri della politica

In molti paesi europei (soprattutto in Francia e in Germania) «Giulio Cesare» è tuttora una delle opere di Shakespeare che vengono più rappresentate. Al contrario in Italia, all'infuori dell'allestimento dei detenuti di Rebibbia, poi trasformato in film dai fratelli Taviani, negli ultimi anni si sono viste rare messinscene.
Forse per gli standard del teatro italiano la prima delle tragedie shakespeariane è troppo lunga, troppo ricca di personaggi (quindi troppo onerosa per i budget ormai risicati degli Stabili) e troppo difficile da adattare a quegli schemi di leggerezza e allusività che esprimono il trend dominante sui palcoscenici.
Perciò il «Giulio Cesare» che debutterà al Piccolo Strehler giovedì 12 aprile prossimo (e che rimarrà in cartellone fino al 6 maggio) è atteso come l'evento più rilevante della fine della stagione teatrale milanese.
Stranamente Carmelo Rifici, il regista trentottenne che firma l'allestimento e che pure ha già al suo attivo parecchi classici, finora non si era mai cimentato con un testo di Shakespeare.
La scelta di iniziare con quest'opera massiccia e solenne, imperniata sull'ambiguità e l'opacità del potere, vale probabilmente come una dichiarazione di poetica, come l'indicazione di un interesse prioritario per il lato oscuro della condizione umana, per le sue tensioni sommerse e i suoi risvolti enigmatici.
Nella lettura di Rifici infatti il «Giulio Cesare» è un'opera che manifesta «un'idea di segretezza», si focalizza su di un meccanismo occulto che è quasi connaturato all'esercizio stesso della politica. Così, sul palcoscenico del teatro Strehler trasformato per l'occasione nella Roma del crepuscolo della repubblica, assisteremo all'uccisione di Cesare («un grande statista che presagisce l'avvicinarsi della fine e che, in quanto grande, si consegna alla morte»), e ancor prima all'ordirsi di una congiura nella quale sono labili i confini tra intenzioni virtuose e interessi meschini. Ma soprattutto guidati dalla lettura del regista, ci inoltreremo nel «livello magico» della tragedia, «rappresentato dalle profezie e dai poteri occulti, di cui rinveniamo tracce in molte opere di Shakespeare, anche se è strano rilevarne la presenza in un dramma storico - come sottolinea ancora Carmelo Rifici - In questa vicenda i presagi si avverano e meritano pertanto attenzione. Fondamentale risulta infatti la figura dell'indovino, una sorta di ponte tra la classe dirigente e un potere “altro“».
L’attenzione del regista si è concentrata particolarmente su questo aspetto. E infatti spiega ancora che «la relazione fra magia e politica è millenaria ed è un fenomeno che si verifica, anche se in maniera meno evidente, ancora oggi. È molto frequente che questo rapporto emerga nei periodi di crisi della politica. Pensiamo per esempio al rapimento Moro, con la seduta spiritica alla quale partecipa Prodi, o al legame di Mussolini col sensitivo Gustavo Rol, ma pensiamo anche a quello che Norberto Bobbio chiama lo stato invisibile o l’antistato. Uno Stato che si autodisciplina fuori dalle regole della democrazia».


Nella conferenza stampa di presentazione dello spettacolo tenutasi ieri nel chiostro della storica sede del Piccolo di via Rovello, Rifici ha dichiarato di aver scelto di allestire «Giulio Cesare» anche perché «spinto dal disagio del presente, in un momento in cui più ci si allontana dalla democrazia più emergono strani segreti», ma ha sottolineato allo stesso tempo di voler rifiutare ogni «accostamento gratuito all'attualità fatta di logge P2, P3 e P4».
Francamente ci auguriamo che sia davvero così: altrimenti sarebbe triste constatare che la narrazione eccezionale di una congiura serve a ribadire l'ennesima teoria del complotto.

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