La giustizia sa essere polentona o rapidissima

Caro Granzotto, della serie: meglio ridere che piangere! Fra due anni (più o meno), se sarò ancora viva, darò una grande festa per i 25 anni dall’inizio di una causa portata da me e due colleghi contro l’Università degli Studi di Genova perché abbiamo perso ingiustamente i nostri posti di lavoro come lettori. Alla festa darò i posti d’onore ai tre giudici del TAR che hanno impiegato sei anni per scrivere tre righe bocciando la nostra richiesta. Un invito anche per il magistrato che aveva dato ragione a noi, ma prima di riuscire a finire la seconda parte della sentenza è stato promosso e così naturalmente il magistrato donna che l’ha sostituito ci ha bocciato. Ci saranno anche tre posti speciali per i tre giudici della Corte Superiore, uno dei quali in meno di cinque minuti ha deciso che non poteva partecipare perché aveva giudicato la causa di uno di noi in una corte inferiore - e così la causa è rimasta in sospeso per quasi un anno per trovare un altro giudice disponibile. Dopo un anno la causa fu bocciata nuovamente e ora siamo in Cassazione da qualche anno. Forse manderò un sms a Marrazzo per sapere come fare per arrivare ad avere una sentenza in sei mesi. Infine, inviterò i nostri avvocati che hanno lavorato sodo per noi. Un’ultima parola: tutti gli invitati dovranno portare un badge con scritto «LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI»!
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Un quarto di secolo per avere una sentenza definitiva. Otto magistrati coinvolti, nel bene come nel male. Questa sì che si chiama certezza del diritto. Questo sì che si chiama zelo dell’ordine giudiziario. Piacerebbe anche a me sapere come ha fatto Piero Marrazzo a ottenere la sentenza definitiva della Suprema corte in un pugno di mesi. Che, niente niente, la Legge ha due pesi e due misure quando dovrebbe essere uguale per tutti, come lei gentile lettrice ricorda? Per la verità mi piacerebbe sapere un’altra cosuccia: il Csm, organo di autogoverno della magistratura, nulla ha da dire su uno scandalo del genere? Sei anni per ottenere una sentenza dal Tribunale amministrativo regionale? Duemila 190 giorni? Eppure, quando vuole la giustizia sa benissimo non essere pelandrona. Lo dimostra il caso Marrazzo e l’impegno dei pm che nella vicenda nota come «Loggia P3» procedono col turbo. E questo anche se a detta di un autorevole rappresentante della casta togata lo scambio di favori «non risulta quale reato nei nostri modelli giuridici». Già, dicono i pm per potersi aggrappare alla legge Anselmi, però la combriccola era occulta, «una organizzazione occulta che basa la sua forza su una fittissima rete di conoscenze e amicizie». Non so lei, gentile lettrice, ma nel mio piccolo, be’, sì, ho anch’io una rete, una retina se vogliamo, di fitte conoscenze e amicizie. Cosa devo fare per non rischiare l’incriminazione? Andare dal notaio, rivolgermi ai Carabinieri, pagare un’inserzione su un giornale per renderla ufficialmente palese? «Si certifica che conosce Pippo, Pluto e Paperino oltre a essere amico di Qui, Quo e Qua», questa sarebbe la formula? Il punto è dunque: perché tanto impegno per cercare, in mancanza di reato, di dar corpo a un’accusa e così poco impegno per liquidare - in prima battuta, prima delle tre - una cosuccia giuridicamente banale come quella che la riguarda, gentile lettrice? Ha visto mai che c’è del marcio in Danimarca? Non staremo a ripeterlo per l’ennesima volta: la nostra fiducia nella giustizia è salda come la roccia e idem la nostra deferenza.

Episodi come quello da lei denunciato, gentile lettrice, cosa vuole mai?, rappresentano una goccia nel mare magnum giudiziario. E delle gocce, pare proprio evidente, non curat praetor. Però al praetor mandiamo a dire che tic e tac e tac e tic, la goccia poi cavat lapidem. Figuriamoci le rocce.

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