Gramellini, il breviario laico in prima pagina

Noi giornalisti cominciamo la giornata prendendo la «mazzetta», che non è una tangente, ma l’insieme di una decina di quotidiani che nel giro di un paio d’ore leggiamo (o facciamo finta di leggere) in modo da arrivare preparati alla riunione di redazione. È un rito, quello della «mazzetta». Ma da qualche anno s’è introdotto un rito nel rito: quello della lettura del «Buongiorno», la rubrica di Massimo Gramellini che La Stampa pubblica in fondo alla sua prima pagina. Il «Buongiorno» è come il caffè: irrinunciabile. Non c’è giornalista che se lo perda. Si possono ignorare gli articoli di fondo, non le quotidiane trenta righe di Gramellini. Intanto perché la scrittura è tale che per ciascuno di noi c’è solo da imparare. E poi perché l’autore ha un’altra virtù rara: quella di non parlare delle cose che di solito eccitano tanto noi giornalisti, ma di ciò di cui la gente parla davvero. Anzi, di ciò di cui la gente vive: i piccoli problemi quotidiani, gli amori, i figli, la scuola, il traffico, le vacanze, la salute, magari anche le grandi domande su chi siamo e su dove andremo a finire. Anche la politica, certo: ma non come la raccontano gli habitué del Palazzo, con quei collage di dichiarazioni che interessano solo a chi le ha rilasciate. Insomma Gramellini salta a piedi pari gli argomenti già trattati sulle home page dei siti Internet, nei sommari dei telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani; e va a scavare tra le righe della cronaca, alla ricerca dei piccoli fatti che nascondono i grandi significati. Adesso queste rubriche sono state raccolte in un libro: Ci salveranno gli ingenui (Longanesi, pagg. 369, euro 16,60). Il titolo ricorda quello di un altro libro, scritto più di mezzo secolo fa da Leo Longanesi: Ci salveranno le vecchie zie? Forse l’autore ha voluto rendere omaggio al grande cantore (ma anche fustigatore) della borghesia degli anni Trenta e Cinquanta. Sta di fatto che, pur con tutti i distinguo, l’accostamento tra Longanesi e Gramellini non è affatto campato per aria. Tutti e due, in fondo, sono osservatori del costume italiano, delle nostre poche virtù e dei nostri molti vizi. Tutti e due sanno graffiare, ironizzare, mettere alla berlina; ma anche richiamare - senza moralismi - ai valori veri, a ciò che conta nel profondo. Tutti e due, soprattutto, leggono la realtà senza le lenti deformanti dell’ideologia, cioè senza pregiudizi. E poi tutti e due possono ben fregiarsi del titolo di uomini liberi. Longanesi era un uomo di destra, ma alla destra non lesinava critiche, né perdonava ipocrisie e incoerenze. Gramellini forse è più di sinistra che di destra, ma il «forse» è d’obbligo perché leggendolo non si capisce da che parte stia, e già questo vuol dire qualcosa; di certo, le bastonate e le punzecchiature che riserva alla sinistra non sono meno di quelle che riserva alla destra. Destra e sinistra, comunque, sono categorie del tutto insufficienti per capire i pungenti corsivi di Gramellini. Il quale non a caso confida negli ingenui. Che non sono né di destra né di sinistra: sono, piuttosto, paragonabili a quei semplici di cui parla il Vangelo. Persone che non pretendono di sapere già tutto; che accettano di cambiare idea quando i fatti si impongono sulle teorie; e che conservano ancora la speranza che il mondo possa essere un po’ meglio di com’è.

Il libro di Gramellini è un piccolo emporio. Vi si trova un po’ di tutto. Lo si può leggere anche saltando da una pagina all’altra. E se lo si prende in mano per regalarsi qualche riflessione ogni giorno, diventa una specie di breviario laico.

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