da Roma
«Niente drammi», dice Franco Giordano. Ma il dramma la sinistra radicale al governo ce lha già in casa, e lo sa bene.
Lo hanno detto le urne ben prima delle piazze, punendo il velleitario centrosinistra «riformista» tanto quanto quello massimalista. E sabato quella piazza del Popolo malinconicamente vuota dimostrava limpasse in cui si è cacciato il sogno di essere partito di lotta e di governo insieme. Ora Rifondazione e gli altri cespugli di sinistra devono fare i conti con chi trionfalmente annuncia il «divorzio» tra loro e i «movimenti». Ma anche con il fatto che quei «movimenti» non ci sono più, come dimostra il corteo no-war: anemico anchesso, animato soltanto dagli slogan anti-Bertinotti e ostaggio rassegnato del teppismo di massa. Le reazioni del giorno dopo sono poche e tutte sulla difensiva: «Contestare pacificamente Bush come abbiamo fatto col sit in di Piazza del Popolo non è scandaloso né imbarazzante», protesta il capogruppo Pdci Pino Sgobio. «Le polemiche contro la nostra manifestazione sono provinciali», lamenta quello dei Verdi Angelo Bonelli. «Si cerca di strumentalizzare pochi e isolati atti di vandalismo per screditare chi ha democraticamente manifestato», insorge il comunista Galante. Rifondazione ieri ha taciuto, con leccezione critica dell«indipendente» Caruso, secondo il quale «il flop di Piazza del popolo deve aprire una profonda riflessione a sinistra». Si è fatto sentire solo Giovanni Russo Spena, per avvertire che ora il Prc deve fare sul serio: il «malessere» degli elettori è profondo, e «noi che siamo stati i più fedeli al programma, facendoci anche prendere in giro, non possiamo più fare sconti a nessuno». La nuova linea di battaglia è quella economica e sociale: «Ora serve un confronto molto serrato col governo, a partire da pensioni, Dpef e Finanziaria». E il verde Paolo Cento ribadisce gli stessi concetti: «Non siamo più disposti ad accettare tutto» in nome del «tabù infranto» della governabilità.
Il problema vero, come riconoscono in privato i dirigenti del Prc, è che la loro base militante alla resa dei conti «ha preferito essere di là», con quegli stanchi rimasugli antiamericani del movimento che fu, piuttosto che con la strampalata piazza dei partiti. Una sorta di scissione silenziosa, che coinvolge anche punti di riferimento come la Fiom di Cremaschi, o intellettuali di area come Marco Revelli, secondo il quale «lo strappo» a sinistra «è iniziato con Vicenza».
Sul fronte opposto, Rifondazione e gli altri si trovano a dover fronteggiare loffensiva della destra dellUnione. «Giordano, Diliberto & Company sono dei conservatori, forze del passato, residui di ideologia. Con linnovazione non hanno niente a che spartire, ecco perché non li segue nessuno», è linvettiva del sindaco di Venezia Cacciari, che si augura apertamente che nella prossima legislatura «il nodo venga sciolto» e il futuro Partito democratico si liberi dellalleanza con la sinistra: «Fanno solo zavorra». Franco Giordano lo attacca a testa bassa, denunciando che «lui chiama innovazione la volontà di non disturbare il manovratore». Ma Cacciari dà voce a un pensiero diffuso, nellUlivo, e soprattutto ai fantasmi che ossessionano da mesi la sinistra. È quello che lex ds Peppino Caldarola chiama lo «schema DAlema»: liberare la Quercia e il Partito democratico dalla «zavorra» più ideologica, dimostrare che con la sinistra non si riesce a governare e aprire un dialogo a tutto campo con pezzi di centrodestra. Per arrivare a uno scenario in cui il Pd (senza Prodi) diventi il perno di ogni possibile maggioranza e si scelga gli alleati. Tagliando le «ali» e respingendo il Prc e gli altri nel limbo delleterna opposizione.
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