Guerra Libia

È guerra civile, le nostre basi in allerta

Aerei bombardano la folla a Tripoli: almeno 250 morti. Caccia libici atterrano a Malta e i piloti chiedono l’asilo politico. Ora si temono arrivi in Italia, massimo livello d’allarme per Marina e Aeronautica

È guerra civile, le nostre basi in allerta

Guerra civile. È questa la tragica realtà in una Libia ormai divisa in due fronti contrapposti e decisi letteralmente a tutto. Da una parte i ribelli con le loro basi in Cirenaica, nell’Est del Paese, ma che sono riusciti a esportare la rivolta fino a infiammare la capitale Tripoli, a mille chilometri di distanza; dall’altra le forze fedeli al raìs Muammar Gheddafi: buona parte delle forze armate regolari, oltre a decine di migliaia di feroci mercenari africani strapagati per terrorizzare i civili e uccidere i rivoltosi. Un clima spaventoso, che fa temere ricadute inquietanti sul nostro territorio, distante poche centinaia di chilometri. Basti pensare alla prospettiva di una fuga di massa da un Paese in fiamme, magari favorita da Gheddafi per ricattare l’Europa. O a qualche gesto provocatorio di militari libici senza più nulla da perdere.

Per questo, dopo che nel pomeriggio di ieri i piloti di due caccia e due elicotteri libici sono atterrati nella vicina Malta per chiedervi asilo politico, lo stato di allerta nelle nostre basi aeree è stato elevato al massimo livello. Dalle basi di Trapani (dove stazionano gli F-16) e Gioia del Colle (sede degli Eurofighter) sono pronti a decollare i caccia per eventuali missioni di protezione dei cieli nazionali. In caso di necessità potranno avvicinare aerei stranieri e costringerli a uscire dal nostro spazio aereo o ad atterrare, e in situazioni estreme potrebbero anche ricevere l’ordine di procedere al loro abbattimento. Il ministero della Difesa ha confermato che anche la nave militare «Elettra», di stanza alla Spezia, ha ricevuto l’ordine di partire per il Mediterraneo centrale: è un’unità speciale, ha a bordo apparecchiature radar con strumentazione di guerra elettronica, ascolto e raccolta di informazioni. E forse anche unità delle forze speciali. L’Europa politica sta alla finestra, consapevole di non poter imporre ai libici scelte che competono a loro. Così, mentre la “ministra degli Esteri dell’Ue” Catherine Ashton continua a esprimere invano preoccupazione e inviti al rispetto dei diritti umani, le autorità dei Paesi occidentali, in prima fila quelle italiane, esortano i compatrioti a lasciare la Libia e preparano l’evacuazione. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha detto che «c’è una preoccupazione generale, degli Stati europei e della comunità internazionale, per quello che sta accadendo in tutta la riviera opposta alla nostra. E poi c’è una forte preoccupazione specifica, doppia, da parte nostra, che siamo lì, così vicini». Il nostro governo, ha aggiunto il ministro, è pronto «con uomini e mezzi» al rimpatrio degli italiani presenti in Libia (sono circa 1500): oggi partirà per Tripoli un primo volo speciale. Soffocata internet, silenziate le comunicazioni telefoniche, la televisione di Stato in mano al governo, la terribile violenza che insanguina le strade di Tripoli, Bengasi, El Beida, Derna e tante altre città libiche segue il suo corso quasi senza immagini che la documentino.

Le rare testimonianze, fornite da stranieri in fuga dall’aeroporto tripolino nel caos o da libici dotati di telefoni satellitari, descrivono orrori indicibili: se a Tripoli i rivoltosi hanno bruciato e saccheggiato edifici governativi e banche, dall’altra parte aerei da guerra hanno aperto il fuoco con le mitragliatrici di bordo e addirittura avrebbero sganciato bombe sulla folla di migliaia di persone che cercava di avvicinarsi a una base militare e alla piazza Verde, la ex piazza Italia al centro della capitale che è il luogo simbolo delle adunate di massa del regime di Gheddafi. Anche da terra le forze fedeli al raìs sparano sui manifestanti, addirittura con pezzi di artiglieria e coi carri armati: si parla di 250 morti solo a Tripoli. Elicotteri Apache hanno anche sparato sulla folla che dalla città di Misurata marcia verso la capitale per unirsi alla rivolta.

In serata, però, Seif al-Islam, secondogenito di Muammar Gheddafi e volto pubblico del regime, ha negato le notizie riportare da tutte le reti internazionali secondo cui i jet militari abbiano bombardato i manifestanti a Tripoli. In realtà, riporta la tv di Stato, il loro obiettivi sono stati i depositi di armi all’esterno della città.

Intanto circolano voci su un imminente colpo di Stato militare: il capo di stato maggiore dell’esercito libico, il generale Abu-Bakr Yunis Jabir, sarebbe finito agli arresti domiciliari dopo essere passato dalla parte dei rivoltosi.

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