Anche nel Duemila si può perdere la guerra dell'acqua. Sembrerà strano, e forse lo è anche però... è la verità. Almeno stando a un romanzo, quello che Filippo Bologna tratteggia attingendo alla sua inestinguibile fantasia e ricostruendo un mondo che non esiste più. È un contesto locale, localissimo, ma potrebbe essere ovunque. È un caso banale, banalissimo, ma potrebbe toccare chiunque. E, come detto, ovunque. È una schiatta d'alto rango che con il passare degli anni precipita al livello di una famiglia modesta, che non cede al rampante di turno e si fa portare via tutto quello che gli avi hanno accumulato nel tempo.
«Come ho perso la guerra» (Fandango, pp.273, 14 euro) è il racconto di un uomo che da ragazzo ha vissuto i momenti aurei della sua famiglia ma non si rassegna a una vita di secondo piano. Non accetta di farsi complice del solito imprenditore rampante, capace di trasformare una timida sorgente d'acqua in uno stabilimento termale in grado di attirare turisti, ammalati e aficionados del benessere. E comincia a fargli guerra. Lo denuncia per l'inquinamento che i reflui dello stabilimento producono, non accetta le migliorie all'arredo urbano del paese in cambio dei permessi necessari ad aprire la Spa. Insomma attacca a 360 gradi.
Ma come in ogni guerra che si rispetti, finisce che vince l'uomo forte e il perdente perde tutto. È quello che capita al protagonista del libro che si vede scippare la fidanzata dal figlio dell'industriale, perde gli amici che lo avevano affiancato nella crociata naturalista, viene rimproverato dai familiari dai quali gli è attribuita la colpa di averli consegnati all'imprenditore che per vendetta li ha tiranneggiati portando via loro ogni cosa. Finiscono così triturati i gioielli di famiglia: il castello che diventa una dependance in cui l'industriale ospita chi lo viene a trovare e qualunque altra cosa.
«Come ho perso la guerra» è un romanzo leggero che si legge senza fatica e senza impegno. Scorre via grazie alla scrittura brillante del suo autore ma è anche un paradigma applicabile alla società dei giorni nostri, quella vera, quella che non appartiene alla fantasia di uno scrittore ma che è riscontrabile nella realtà che ci circonda. Ovunque, in qualsiasi paese, piccolo o grande, sia che lo si intenda come sinonimo di Stato sia che venga interpretato come un piccolo villaggio l'approccio con il diverso, il contatto con l'altro si è spesso rivelato difficoltoso. Il tema dell'invasione del proprio territorio è sempre vissuta come un trauma, le modalità con cui questo si concretizza sono sofferte, l'attrito è facile, il confronto inevitabile. La guerra è serrata. E spesso non vince chi parte con un'iniziativa, chi ha qualcosa da proporre, soprattutto se in campo mette il denaro.
Insomma trattasi di una falsariga altamente riciclabile: il versante politico e quello sociale, il lato personale e quello collettivo, il denaro e la sofferenza.
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