A Rafah, sul confine tra Gaza e l'Egitto alcuni giovani distribuiscono dolci come in un giorno di festa, altri alzano cartelli con le scritte: «Morte a Sharon, l'assassino dei bambini» e «Sharon va al diavolo». Per una parte dei palestinesi questo è un giorno memorabile. Hamas, Jihad, i gruppi prosiriani nei campi profughi nel Libano non provano nemmeno a mascherare i propri sentimenti. «Lo diciamo con franchezza: Allah è grande e lo ringraziamo per il regalo che ci fa vendicandosi contro il macellaio Sharon», dichiara da Beirut Ahmed Jibril, dirigente del Fronte Popolare-comando generale. Accanto a lui la gente annuisce. «Spero che soffra terribilmente prima di morire, che provi il dolore che lui ha causato ai palestinesi», aggiunge Rana Mahmoud. Una donna di sessantani, scampata al massacro di Sabra e Chatila si sfoga: «Ho sempre sognato di poter vivere per vederlo morire, ma sarebbe stato molto meglio se fosse stato ucciso da un proiettile sparato da uno dei nostri combattenti». È la voce della rabbia, è listinto della vendetta.
Da Gaza il portavoce del movimento islamico Hamas, Sami Abu Zuhri, dapprima commenta con ironia: «È nelle mani di Dio e Dio è più grande di Sharon». Poi va giù piatto: «Il premier israeliano subisce la volontà divina riservata ai despoti e ai malfattori. Il Medio Oriente sarà un posto migliore senza Sharon. Il mondo sta per sbarazzarsi di uno dei principali leader del male».
Anwar Abu Taha, importante esponente dell'altro gruppo integralista dei Territori, la Jihad islamica, usa toni altrettanto drastici: «Deve andare allinferno. È un tiranno che ha commesso sanguinosi massacri contro il popolo palestinese».
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