Ho fatto un sogno su Genova

(...) un’esperienza completamente nuova, rivoluzionaria.
Ho sognato un candidato davvero «civico», davvero «moderato», davvero senza esperienze politiche avanzate alle spalle, che sia capace di parlare contemporaneamente alla pancia e al cuore dei cittadini. Un candidato che viaggi sui mezzi pubblici ed ascolti la gente, che la tocchi e si faccia toccare, senza averne schifo. Un candidato che risponda alle mail dei cittadini, senza riempirsi la bocca di internet a vanvera. Un candidato che scaldi i cuori. Un candidato che abbia idee, e non se ne vergogni. Un candidato che chieda scusa se i suoi supporter insultano qualcuno e che abbia il coraggio di prendere le distanze da maleducazione pura spacciata da liberalismo.
Ho sognato un candidato che non faccia riunioni fra gli amici, spacciandole per grandi momenti di partecipazione popolare. E, soprattutto, un candidato che abbia il coraggio di posizioni anche impopolari e controcorrente. Un candidato che non sposi la linea di qualsiasi comitato «perchè poi mi votano», perchè poi, quelli lì, di solito sono quelli che «noi votiamo la Marta». Un candidato che abbia il coraggio delle risposte, anche quando non sono le più comode, le più facili e le più scontate.
Ho sognato un candidato che ami Genova come ama sua moglie e i suoi figli. E che, quindi, la ami moltissimo. E che la tratti come si trattano le cose preziose, coccolandola.
Ho sognato un candidato che abbia delle idee, anche rivoluzionarie. Ad esempio, ho sognato che quel candidato - che, ovviamente, diventava sindaco, perchè un candidato sindaco simile non può non diventare sindaco - varava un piano per la valorizzazione del centro storico. Che è il più grande e il più bello del mondo, in mezzo alla città più bella del mondo. Ma che non va trattato come una discarica, di immondizia e sociale, come una zona franca dove tutto è lecito. Soprattutto, nel mio sogno, c’erano demolizioni mirate di alcune aree, che davano luminosità e respiro a tante aree dei vicoli.
Ho sognato, in una parola, un piano di demolizioni che non somigliasse in alcun modo a quello che ha portato alla sparizione di via Madre di Dio e della zona limitrofa, che ci poteva anche stare, ma che non portasse a un piano di costruzioni come quelle dei Giardini di Plastica e di tutta l’area attorno.
Ho sognato, soprattutto, una Genova che fosse in mano ai genovesi. E, per genovesi, intendo i genovesi veri. Quelli nati anche fuori, come me. Ma che amano la città più di loro stessi. Un popolo di gente perbene che, subito, magari è diffidente e fa fatica a dare confidenza. Però, dopo che l’ha data, ti apre il cuore come le porte di casa e riesce a spazzare via anni di luoghi comuni e luogocomunismi e di gente che vive di economia assistita e di prepensionamenti, dove, nella definizione «posto di lavoro», ad essere è importante è il posto e non il lavoro.
Ho sognato una città dove si pensi ad andare bene noi, anzichè dedicare tutte le forze a far andar male il vicino.

O, quantomeno, se non si riesce a farlo andare male, a dire che il vicino va male.
Ho sognato una Genova che si rialza. Capace di amare come la amiamo. Una Genova che, semplicemente, sia se stessa. La più bella città del mondo. Se solo se ne accorgesse.

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