Ha messo le ali, ma quell’altro le aveva più grandi. È stato serpente, ma quell’altro ci ha messo più veleno. Ha sparato il suo corpo come una palla di fucile (guarda le immagini del salto). Ma quell’altro l’ha sparato come una palla di cannone. Ha vinto Irving Saladino, non ha perso Andrew Howe. Speranza e delusione si sono forse confuse per qualche attimo, per quei cinque minuti in cui il nostro figlio del vento si è sentito un campione del mondo, re sbucato nel vento. Ci sono attimi in cui le storie di sport sembrano drammi scritti da Shakespeare. La boxe è struggente nei suoi momenti, l’atletica un concentrato di emozioni, violente quanto un pugno da ko. Saladino e Howe si sono appropriati degli occhi e delle emozioni di tutto un mondo, come fossero Mike Powell e Carl Lewis in quella storia targata 1991, quando il figlio del vento si inchinò all’8,95 dell’altro che dovette superare il record di Bob Beamon per vincere.
Howe è riuscito a scavalcare Giovanni Evangelisti e quel record durato esattamente vent’anni (maggio 1987), quando lui era appena nato e viveva ancora in California, pronto ad una vita americana. Fra sussurri e grida il campione d’allora toccò gli 8,43 m., Howe è atterrato a 8,47. Poteva bastare per vincere, se Saladino non avesse dimostrato la sua forza di campione. Andrew dice sempre che «la testa conta il 90 per cento». Quest’ultimo duello gli ha dato ragione: vittoria di testa prima ancora che di gambe, medaglie conquistate con la forza della volontà. Il panamense era partito con un 8,30, subito pareggiato da Dwight Phillips, campione delle ultime due edizioni. Poi Irving si è involato leggero, con quel saltare quasi impalpabile che lo ha portato a 8,46. Pareva tutto fatto. Gli altri arrancavano dietro. Howe aveva trovato il salto che valeva un bronzo al penultimo tentativo (m. 8,20), salvo vedersi superare dall’ucraino Lukasevich (m. 8,25).
Poi quell’ultimo balzo, forse disperato, speciale nella determinazione, strabiliante nell’interpretazione «Quello era il balzo che cercavo». È stata l’incoronazione di campione, con valore superiore all’argento che poi si è messo al collo. Howe ha capito d’averla fatta grossa, si è dannato in una danza di eccessi e smorfie. Sentimenti urlati in inglese («Avevo paura che uscisse qualche brutta parola in italiano»). Ma nessuno potrà dire che non ha nel sangue il filone della sceneggiata all’italiana. Mamma Renèe, in tribuna, esaltata e incredula, al limite del collasso. Tutto un po’ troppo. «Ma io credevo di aver messo la parola fine con quel balzo mostruoso. Invece Saladino...».
Invece Saladino è stato più mostruoso: favorito che non poteva sbagliare dopo due anni volati ad alta quota (ora sono 16 le vittorie consecutive, in una striscia di 23 successi su 25). «In quel momento - ha raccontato - ho pensato a noi latino-americani. Ho dato il mio meglio. È una vittoria per il nostro popolo. Mio Dio benedici i latino-americani». Fede e determinazione: miscela speciale. Saladino feroce quanto mai, anche contro l’uomo che voleva avvelenarlo. Ed eccolo atterrare a m. 8,57, lasciando tutti con occhi sbarrati e ammirazione infinita. Howe c’è rimasto male, poi si è consolato: «Sono un competitivo e cerco sempre il massimo. Però conquistare un argento a 22 anni con tanto di record italiano è abbastanza». Esaltazione e consolazione hanno carezzato l’orgoglio di questo ragazzo che quasi mai ha mancato il podio nei momenti importanti (bronzo ai mondiali indoor 2006, oro agli europei indoor e all’aperto). Ora la corsa continua.
Howe, ragazzo tutto salto e musica, pensa a Carl Lewis, che stava in tribuna, e ai suoi incanti, pensa a Pechino, alla rivincita con Saladino e ai 200 metri come fosse, appunto, un Lewis. «Anche se, con un mostro come Gay, c’è poco da fare». Gli piace sognare. Ma poi mette del suo per tradurre i sogni in realtà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.