Medicina

DOPO I 40 ANNI UN ITALIANO SU TRE È A RISCHIO

«I casi accertati sono 3 milioni ma diventeranno oltre 5 tra vent’anni», afferma il professor Antonio Pontiroli

Gianni Clerici

Il diabete preoccupa sempre di più. Questa malattia metabolica, caratterizzata da un eccesso di glucosio nel sangue, si sta diffondendo in modo esponenziale in tutti i Paesi occidentali: nel 1985 colpiva 30 milioni di persone, oggi 180 e si stima di arrivare a ben 333 milioni di diabetici nel 2030. In Italia, dopo i 40 anni, una persona su tre è a rischio di diabete: ne sono colpiti più di 3 milioni di persone, nel 2025 saranno 5 milioni. Molti diventano vittime senza saperlo. È una malattia silente, solo nel tempo si manifesta e fa conoscere le sue gravi complicanze croniche: alterazioni a carico dell’occhio, del rene, del sistema cardiovascolare, del sistema nervoso. Quello tipo 2, il più frequente, si manifesta negli adulti e rappresenta oltre il 90% di tutte le forme diabetiche, rischia di divenire un autentico flagello. Quello di tipo 1, colpisce soprattutto i giovani con meno di 30 anni. Un tempo chi ne era colpito era un condannato a morte. Oggi il diabete si può curare e si può prevenire.
«I nuovi casi possono essere ridotti del 40 per cento, fino al 58%, grazie ad un cambio dello stile di vita (più movimento fisico e perdita di qualche chilo di peso) che porta ad una migliore sensibilità insulinica che a sua volta migliora l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi del sangue nei vari tessuti del corpo», afferma Antonio Pontiroli, 58 anni, milanese, già allievo al Policlinico e poi all’Istituto San Raffaele del professor Pozza, uno dei padri della diabetologia italiana. Pontiroli è presidente della Società italiana di diabetologia (SID), all’università di Milano ha la cattedra di medicina interna ed è direttore di medicina 2 all’ospedale San Paolo. «L’attività fisica è fondamentale nel combattere questa malattia che si sviluppa in tempi lunghi. Negli ultimi venti anni – ricorda il professor Pontiroli (è un esperto ciclista, appena può percorre 80-100 chilometri con la sua bicicletta da corsa) – si sono ottenuti importanti risultati nella cura dei pazienti diabetici, con l’adozione di terapie globali di qualità. Dall’esordio della malattia, l’aspettativa di vita nei diabetici di tipo 1 (quelli insulino-dipendenti) è cresciuta dai 35-40 anni ai 50-60. I nuovi casi di cecità sono scesi di circa il 30-40%. L’incidenza cumulativa della nefropatia diabetica è calata dal 45 al 30%. Il numero di amputazioni agli arti inferiori per anno è sceso del 50% (nel passato superavano le 15mila unità)».
Pontiroli studia il diabete da oltre trenta anni. Nel 1976 trascorse un anno a Detroit come ricercatore nel team di Piero Foa, lo scopritore del “glucagone”, il secondo ormone pancreatico. Foa, è un grande medico italiano che si recò con i genitori in America nel 1939 per sfuggire alle leggi razziali, era figlio di Carlo Foa, docente di fisiologia all’università di medicina di Milano. Pontiroli presiede anche “Diabete Italia”, un consorzio che unisce la Società italiana di diabetologia (Sid) e l’associazione medici diabetologi (Amd). «Il sovrappeso influenza molto il manifestarsi del diabete: dopo 25 anni di obesità il 50% delle persone ha il diabete».


Secondo uno studio (Code-2) condotto in otto Paesi europei i costi diretti del diabete sono destinati a crescere: oggi superano in Italia i 5,2 miliardi di euro all’anno, pari al 6,6% dell’intera spesa sanitaria nazionale.

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