Qualche anno fa andai a intervistare Francesco Cossiga per fargli commentare un libro anti-imperialista anti-capitalista eccetera di Toni Negri. Immaginavo che il presidente emerito, su Negri, mi avrebbe detto il peggio. Invece lo difese a spada tratta. Soprattutto dal punto di vista penale: per lui, Negri non avrebbe mai e poi mai dovuto andare in galera. Ma come, obiettai: non è stato un cattivo maestro? Le sue tesi non hanno forse istigato legioni di terroristi? «Toni Negri - mi rispose Cossiga - non ha detto niente di peggio e di più di quello che per decenni ha detto il Pci. Guarda che se fosse stata vera la metà di quello che i comunisti hanno detto dellItalia, della Dc, di me di Fanfani di Moro e di Andreotti, entrare nelle Brigate Rosse sarebbe stato non solo giusto ma doveroso. Se non ci credi, prova a sfogliare la collezione dellUnità».
Queste parole mi sono tornate alla mente ieri leggendo il primo editoriale di Concita De Gregorio su, appunto, lUnità, di cui la brava ex inviata di Repubblica è appena diventata direttore. Linizio del pezzo è tutto un rimpianto dellItalia che fu: «Sono cresciuta in un Paese fantastico di cui mi hanno insegnato ad essere fiera. Sono stata bambina in un tempo in cui alzarsi a cedere il posto in autobus a una persona anziana, ascoltare prima di parlare, chiedere scusa, permesso, dire ho sbagliato erano principi normali e condivisi da una educazione comune». Più avanti, leggiamo lelogio del sistema sanitario e delle pari opportunità dantan: «Sono stata una giovane donna che ha avuto accesso al lavoro in virtù di quel che aveva imparato a fare e di quel che poteva dare: mai, nemmeno per un istante, ho pensato che a parità di condizioni la sorte sarebbe stata diversa se fossi stata uomo...».
Sono considerazioni, e nostalgie, che possiamo condividere in buona parte, o anche del tutto. Ci sorprende però leggerle su un giornale che, in quegli anni così tanto rimpianti, dellItalia forniva un quadro ben diverso. Spiace rivelare letà di una signora, ma la necessità lo impone: Concita De Gregorio è nata nel 1963. È stata dunque bambina negli anni Sessanta e nei primissimi Settanta, e se non ricordiamo male allora il cedere il posto a un anziano, il chiedere scusa e permesso erano forme di quel «mondo perbene» che il Sessantotto si è vantato di avere spazzato via definendolo ipocrita. E lItalia in cui Concita De Gregorio ha potuto diventare giornalista per soli meriti veniva definita dal femminismo dellepoca come maschilista e un po maiala: quello lì, si diceva di tanti uomini di potere, assume una donna solo se.
Il Paese si è imbarbarito, scrive la De Gregorio: «Qualcosa di terribile è accaduto negli ultimi ventanni». Cè sicuramente del vero. Ma pure qui dobbiamo fare due conti e vediamo che ventanni fa in Italia al potere cera Craxi, considerato da lUnità come un aspirante Mussolini con laggravante di essere - rispetto alloriginale - oltre che un tiranno anche un ladro. Ventanni fa, per lUnità, eravamo la schifosa Italia da bere, lItalia del riflusso, lItalia di Tangentopoli.
Può darsi che simili struggenti amarcord siano frutto solo dellumanissima inclinazione a ricordare il passato come migliore di quel che fu: il «si stava meglio quando si stava peggio» non lha inventato Longanesi, è un mormorio vecchio come il mondo. Però leditoriale di Concita De Gregorio ci pare in perfetta sintonia con un modo di pensare, o meglio di lamentarsi, che la sinistra sta portando avanti da qualche tempo, forse con lo scopo di mostrare comè eccezionalmente impresentabile il nemico di adesso. Quante volte sentiamo rimpiangere i vecchi democristiani: «quelli sì...», ci vien detto. Ma, come giustamente ricordava Cossiga, di quei vecchi democristiani allora lUnità non evidenziava i meriti nellassistenza sanitaria: diceva che facevano mettere ai fascisti le bombe nelle banche, diceva che tramavano con i servizi deviati per impedire alla sinistra di vincere le elezioni.
NellItalia imbarbarita di oggi la sinistra le elezioni le ha già vinte due volte.
Michele Brambilla
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