Alessandro Orsini*
Nella società italiana esistono forze rivoluzionarie di cui la stampa e i politici di professione si occupano soltanto in occasione degli scontri di piazza. Esistono ragazzi e ragazze che rifiutano la modernizzazione capitalistica in tutte le sue forme e che odiano profondamente tutto ciò che è rappresentato dalla società borghese. Il loro problema è l’organizzazione e la propaganda. Ignorati da tutti, hanno bisogno di far conoscere la loro esistenza per attirare proseliti. Per riuscire in questa impresa, utilizzano ciò che negli ambienti eversivi è detta «strategia della provocazione». Come scrive un black bloc: «La violenza che esercitiamo sui simboli del potere globale dà visibilità alle nostre sacrosante proteste. Ci interessa che il movimento contro la globalizzazione si rafforzi e si estenda; a questo scopo pensiamo di continuare a usare dove sia necessario le nostre forme di lotta».
I black bloc provocano la reazione delle forze dell’ordine nella speranza che i manifestanti pacifici passino dalla loro parte. La strategia della provocazione ha successo quando i governi picchiano duro e demonizzano tutti i contestatori.
Come i brigatisti rossi, i black bloc vogliono distruggere il capitalismo, la proprietà privata e abbattere la società borghese. Con i rivoluzionari delle Brigate rosse sembrano avere in comune anche il linguaggio. Qualche giorno fa, ho incontrato un brigatista irriducibile tornato recentemente in libertà dopo trent’anni di carcere. Quest’uomo, dotato di un’intelligenza acuta, rivendica tutto ciò che ha fatto, spera nel ritorno di una nuova stagione di conflitti e scrive: «Il mercato è una giungla nella quale devi sbranare per non essere sbranato. Sono i rapporti sociali imposti dal Capitale che, nella sua folle circolazione, si autoalimenta con l’unico scopo del massimo profitto senza alcuna considerazione delle devastazioni umane e ambientali. Il segno di queste relazioni primarie, nevrotiche e violente, contagia tutti i comportamenti umani producendo razzismo, xenofobia e sopraffazione verso i più deboli. Questa è la realtà».
Sotto il profilo dell’analisi culturale comparata, questo testo presenta gli stessi contenuti ed è sovrapponibile al seguente documento firmato da un black bloc: «Nel pianeta sta succedendo questo. Tutti i colori della vita stanno per essere risucchiati dalla forza gravitazionale terribile e immensa del capitalismo globale. Tutte le costellazioni delle forme di vita gravitano verso il buco nero dell’implosione societaria mondiale». È ciò che nel mio libro, Anatomia delle Brigate rosse, ho chiamato «catastrofismo radicale»: il capitalismo ha precipitato il mondo in un abisso di sofferenza e di dolore, da cui si può uscire soltanto attraverso un uso spropositato della violenza rivoluzionaria. Il black bloc conclude invitando a incendiare supermercati, magazzini e depositi: «Il vero inquinamento è l’inquinamento attraverso la merce universalizzata, estesa a tutti gli aspetti della vita. L’incendio di un grande magazzino non è un atto terrorista».
Tuttavia, i black bloc presentano numerose e importanti differenze rispetto ai brigatisti rossi, di cui detestano la disciplina e la gerarchia interna. Esaltano la violenza, ma soltanto contro le cose e non contro le persone (non accettano, dunque, l’omicidio premeditato delle Br). Rifiutano pistole, bombe, capi e organizzazioni. Dal canto loro, i brigatisti rossi sono critici nei confronti dei black bloc. Anche se ne condividono l’odio contro il capitalismo e l’invito alla violenza contro la società borghese, li considerano privi di disciplina e di una strategia d’azione di lungo periodo basata su una robusta teoria di riferimento che sappia illuminare i meccanismi profondi dello sviluppo capitalistico. A differenza degli omicidi mirati - dicono i brigatisti rossi - un magazzino bruciato non destabilizza il sistema.
Le forze rivoluzionarie si muovono, oggi, in un contesto poco favorevole.
*Docente Sociologia politica nell'Università di Roma Tor Vergata e nell'Università Luiss Guido Carli. È autore di Anatomia delle Brigate rosse (Rubbettino), vincitore del Premio Acqui Storia.
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