I cristiani criticano Israele ma chiudono gli occhi sulle violenze islamiche

È facile immaginarsi quante preoccupazioni la Chiesa nutra nei confronti dei suoi cristiani in Medio Oriente, ed è per questo che ha indetto una lunga sessione di lavoro del sinodo dei vescovi sui problemi dell’area. L’islam non ama i cristiani d’oriente: li ha costretti alla fuga se è vero che sono ora solo il 6% della popolazione mediorientale. C’è solo un paese dove i cristiani sono cresciuti in numero: in Israele da 34mila che erano nel ’49 sono diventati 163mila, e saranno 187mila nel 2020. Invece, nei paesi musulmani i cristiani diminuiscono, ma le 50 Chiese ospitate in Terra Santa non se ne accorgono. Preferiscono dare addosso a Israele, dove godono di piena libertà di culto e di espressione.
Secondo il rapporto del dipartimento di Stato americano sulla libertà religiosa, nel 2007 in Turchia c’erano due milioni di cristiani, oggi sono 85mila; in Libano si è passati dal 55 al 35%; in Egitto la cifra si è dimezzata; in Siria dalla metà della popolazione sono ridotti al 4%; in Giordania dal 18 al 2%; in Arabia Saudita si parla di «cristiani invisibili». In Iran i cristiani quasi non esistono più. A Gaza sono rimasti in 3.000 sottoposti a continue persecuzioni. Tutto questo le gerarchie cristiane lo dicono a mezza bocca, e si può capire; ma non si può ammettere che per non urtare i propri persecutori si dia addosso, in una sede importante come il sinodo, a Israele.
Questo è anche una parte della Chiesa a pensarlo: dopo un primo momento in cui un nome di grande rilievo come quello del Custode di Terra Santa Pierbattista Pizzaballa era stato utilizzato senza riguardo come firma sotto un documenti dai toni di scomunica teologica verso lo Stato d’Israele, adesso con una conferenza stampa Pizzaballa avverte che nessuna chiesa di Terra Santa ha sottoscritto il documento. Fa sapere che non è più della partita. Ma se si va sul sito www.kairospalestine.ps si trovano in bella vista firme molto importanti sotto il documento, redatto sin dal dicembre 2009 e che sarà presentato oggi al Sinodo: ci sono infatti il Patriarca Latino monsignor Fouad Twal, Pizzaballa stesso (un bravo, intelligente francescano e un fine intellettuale), il patriarca greco ortodosso Teofilo III, l’armeno Torkon Manugian e il copto Anba Abraham oltre al luterano Manib Yunan e l’anglicano Suheil Dawani. Il precedente Patriarca Michel Sabbah, un apostolo senza se e senza ma della causa palestinese, presenterà il documento che parla a nome di «noi cristiani palestinesi». Vi si dice: «L’occupazione militare è un peccato contro Dio e contro l’uomo», scomunica di fatto i cristiani sostenitori di Israele, si butta contro la presenza stessa d’Israele, paragona all’apartheid la barriera di difesa che ha bloccato il terrorismo al 98%, attacca gli insediamenti invocando il nome di Dio, cancella concettualmente lo Stato ebraico immaginandolo misto, islamico, cristiano e forse anche un po’ ebraico. Si legittima persino il terrorismo quando si dice dei «migliaia di prigionieri che languono nelle carceri israeliane» e che «fanno parte della nostra realtà». Difatti «la resistenza al male dell’occupazione è un diritto e un dovere per un cristiano».
Monsignor Twail ha rilasciato svariate dichiarazioni: ha detto che invece di due Stati per due popoli se ne potrebbe immaginare uno solo, ignorando l’idea corrente che profughi e tasso di natalità arabi spazzino via gli ebrei. E in secondo luogo ha detto che «al cento per cento» il motivo di fuga dei palestinesi è l’occupazione israeliana. Probabilmente il suo riferimento è alla libertà di movimento negata dalla barriera e ai controlli di sicurezza, che si moltiplicano o diminuiscono a seconda delle minacce terroristiche, del tutto ignorate da Twail. Ma c’è un errore nel ragionamento del Patriarca: Israele è l’unico Paese del Medio Oriente dove la popolazione cristiana cresce; in Cisgiordania sotto l’Autorità palestinese è declinata del 29%. L’occupazione israeliana certo impedisce i movimenti, ma terrorizzano di più rapimenti, delitti, ritorsioni di Tanzim e Hamas contro i cristiani. Non solo: anche se possono sorgere talora discussioni fra le tre religioni a Gerusalemme (unica città in Israele dove la presenza cristiana è diminuita, forse per il clima di conflitto) esse sono sempre aperte e nell’ambito di una legislazione totalmente liberale. Chiunque vada nella capitale di Israele, la vede percorsa da folle di pellegrini, processioni, fedeli, etnie e fedi. La libertà religiosa, di accesso, di culto, è totale, come non lo era mai stata sin dai tempi della conquista islamica. Le Chiese di ogni genere e grado hanno corpo giuridico, voce in capitolo, proprietà immobili e in denaro in grande abbondanza, e totale libertà di opinione. Nei paesi arabi è vero il contrario. C’è chi al Sinodo, al contrario dei rappresentati di Gerusalemme, ha denunciato la persecuzione islamista, come ha riportato Il Foglio: Gregorius III Laham patriarca di Antiochia, l’arcivescovo dei Siri in Irak Basile Georges Casmoussa e Francois Eid, vescovo egiziano e altri hanno osato parlare della situazione di costrizione in cui vivono i loro fratelli.

Nella bozza di appello finale che sarà votata venerdì, il Sinodo ripropone la Chiesa come garante della libertà di culto e delle libertà personali di tutte le religioni. Ma se manca una sanzione di quello che i cristiani subiscono nei paesi islamici e si seguita a prendersela con gli ebrei che non c’entrano niente, come pensa di sostenerli moralmente e praticamente?

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