I CROCIATI DI TANGENTOPOLI

Da una quindicina d’anni, in Italia, c’è una trasversalità che ha cercato di trasformare i più diversi reati di frode nella principale emergenza etica&criminale di questo Paese. Durante Mani pulite cercarono di introdurre nuove leggi che equiparassero i reati finanziari ai reati che Codice penale e senso comune considerano più gravi e pericolosi, ossia i reati contro la persona, gli omicidi e le rapine e gli stupri, tutte le violenze possibili. Ci provarono boicottando dapprima le soluzioni legislative proposte in sedi proprie come il Parlamento (dal Decreto Conso del 1993 al Decreto Biondi del 1994) e poi opponendo soluzioni alternative proposte in sedi improprie come convegni e soprattutto giornali. Qualcuno ricorderà le proposte di «patteggiamento» avanzate dal Pool Mani pulite (1992) e così pure quelle di Cernobbio e dell’Università Statale di Milano (1994) quando prefigurarono nuove figure di reato e impressionanti inasprimenti delle pene; un magistrato milanese giunse a proporre un’equiparazione tra corruzione e stupro.
Non vi riuscirono per tre ragioni. La prima fu che l’opinione comune cominciò a chiedersi se il denaro pubblico, che scarseggiava, fosse davvero tutto finito nei conti di Craxi. La seconda, nel tardo 1994, fu che la stessa opinione comune cominciò anche a chiedersi se certo grezzo dualismo da buoni&cattivi (onesti e ladri, magistrati e politici, Craxi e Di Pietro, soprattutto Berlusconi e Pool di Milano) non celasse solo una qualsiasi lotta tra fazioni, tra un potere e un altro potere, uno dei quali, per farla breve, cercava di far fuori Berlusconi appunto in virtù di questa perenne emergenza. La terza ragione ci riporta all’oggi, ed è questa: il citato senso comune, la famosa gente, nelle urne cominciò a palesare che l’emergenza che le premeva era decisamente un’altra, allora come oggi: la criminalità vera, quella che cresceva dentro e fuori le città, quella innegabilmente legata all’immigrazione ma non solo; fu questo che contribuì a spostare messi di voti a destra come a sinistra: non le rinnovate «nuove Tangentopoli» che ogni tre mesi cercavano di propinarci a margine di qualsiasi scandalo, così da spiegarci che l’Italia aveva il problema dei reati finanziari.
Ed è questo che brucia ai pupazzoni alla Di Pietro che hanno sbraitato per giorni e che hanno alzato la posta sparlando di «Banda Bassotti» e «decreto salva-Provenzano»: che in definitiva alle loro manifestazioni di protesta sono venuti in venti. L’indulto non libera sovversivi e terroristi e mafiosi di ogni genere e stragisti e pedofili e sequestratori e associati per delinquere e rubare e rapinare, sicché da un mese a questa parte i vari moralistoidi hanno setacciato i carcerati per reati finanziari ma hanno scovato poco: il solito Previti (che non è in carcere) oppure gente che non è neppure stata giudicata in primo grado o, ancora, detenuti che sono finiti in carcere per un fallimento da 2000 euro. Secondo i dipietrini e i furicolombi l’allarme sociale sarebbe invece questo, non i crimini contro la persona dei quali invece non hanno detto una parola.


Personalmente sono favorevole all’indulto come alla costruzione di carceri nuove e dignitose, ma giudico la contrarietà all’indulto come una posizione legittima: ma non per le scemenze di chi (Unità di ieri) è riuscito a inventarsi che il beneficiato sarebbe persino Berlusconi, bensì perché non a tutti potrebbe piacere che vengano liberati, oltretutti, i violatori della Bossi-Fini, gli smerciatori di merce falsa o di frodo, i piccoli spacciatori e truffatori, insomma quella piccola criminalità che magari fa pena per come l’abbiamo stipata, ma molto meno per quello che ha fatto.

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