Lui preferisce il grattacielo Pirelli «a qualunque altro edificio al mondo: è l'emblema stesso delleleganza formale: sottile, luccicante, essenziale, ardito, leggero, ludico».
Lei di Milano si gode tutto, persino «le facce poco raccomandabili, le auto che sfrecciano in circonvallazione, i quartieri dormitorio, i criminali in giacca e cravatta, il denaro che scorre a fiumi anche se non si sa da dove arriva: il minimo per una famiglia, il massimo per chi cerca intrighi noir». Lui è Tommaso Labranca, lei Lucia Tilde Ingrosso, entrambi milanesi, scrittori e giornalisti, entrambi innamorati di Milano, entrambi da qualche giorno in libreria con un nuovo romanzo ciascuno, Haiducii (Excelsior1881) per Labranca, Nessuno, nemmeno tu (Kowalski) per la Ingrosso. Due storie molto diverse, due volti della città opposti eppure contemporanei. Il primo è la storia di una famiglia rumena diversa da quelle «maschere da nuova commedia dell'arte che fanno tanto comodo ai notiziari - ci racconta l'autore -. Il padre è un quarantenne ammaliato dall'Italia che gli italiani fingono di disprezzare, quella del gossip, dei consumi, dei reality. La madre è una romantica, soffre per la patria lontana, ma non rinuncerebbe mai a seguire i tronisti in tv. Le bambine parlano l'italiano meglio dei genitori». Il secondo è la nuova avventura del commissario Rizzo, l'eroe seriale della Ingrosso, e la protagonista è una discografica talent scout, un personaggio da «X Factor», da Milano glamour e modaiola. C'è una casa discografica che si chiama Pepper, la manager che la guida l'ha ereditata dal marito, morto in circostanze misteriose a Sanremo, durante il Festival della Canzone del 2005. I giovani cantanti sognano un provino con lei. «Può ricordare Caterina Caselli e anche Mara Maionchi - ci spiega la Ingrosso -. La sua vita si svolge fra San Babila e corso Concordia, dove abita. Dal suo ufficio domina la città. Ma il destino laspetta al varco. L'omicidio avviene in una discoteca di tendenza, il Passion Fruit, alle Colonne di San Lorenzo». Il bel mondo, tutto racchiuso entro la cerchia dei Navigli.
Due Milano così originali e distanti che viene spontaneo chiedersi come siano nate queste storie. Labranca dedica il volume ai ragazzi del McCafè di piazza Oberdan: «Il mio Cafè de Flore personale». Come dire che i caffè letterari, dove gli scrittori si «ritiravano» a osservare l'umanità, a Milano oggi sono diventati i fast food: "I caffè letterari devono nascere per caso" commenta Labranca. «Il Portnoy fu lanciato negli anni '80 con l'intento di farne un luogo per scrittori. Raccoglieva solo impiegati che la sera si mettevano il cache-col e andavano a fingere un'artisticità di maniera». Anche la Ingrosso è scettica: «Ci sono artisti e locali che portano avanti discorsi e progetti, ma con fatica. Penso a Fabrizio Canciani e Stefano Covri con il loro Delitti e canzoni", o al bravissimo Alessio Lega che canta "Sono straniero a sta città". Ma forse è la forza di Milano: illudere tutti di possederne un pezzo, ma rimanere altera e distante».
Entrambi sono molto «ispirati» dalla metropoli. «E' l'unica vera città italiana. Le altre sono solo paesoni - ci dice Labranca -. Irresistibile arrivare in città al mattino, scendere in metropolitana e affrontare una giornata piena di incognite e fastidi. Evocativi gli spazi che crescono, il nuovo tunnel in Garibaldi. Mi manca molto però la Milano dei primi anni '80. Quella di Tognoli e Pillitteri. Anche se la cosa scandalizzerà molti». Lucia Ingrosso non è da meno: «La Milano bene è la protagonista dei miei romanzi. Ne parlo perché mi piace che i lettori sognino leggendo di personaggi che vivono in corso Venezia, via Vincenzo Monti, Pagano, San Babila; guidano auto di lusso, frequentano vip e località alla moda. E perché voglio dimostrare che "anche i ricchi piangono", che si uccide fra gli avvocati come fra i meccanici». Ed entrambi credono nella scrittura «alla milanese» fino al midollo, come chiosa Labranca: «Sarà una mia immagine mentale, ma non riesco a separare Testori dalla Bovisa o De Marchi da Rogoredo.
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