Gianfranco chi? No, non siamo a questo punto, tra gli ex di An il parricidio non è ancora stato consumato. Però, c’è da chiedersi, che fine ha fatto il vecchio cameratismo di partito, perché i big sono così cauti? La freddezza dei colonnelli, il giorno dopo, è il dato di fondo. Spicca la prudenza di Ignazio La Russa: «Ho sempre sostenuto il diritto di Feltri di fare giornalismo non politically correct, ma l’editoriale di ieri parte da presupposti sbagliati e conduce a conclusioni errate. Quando parlava di killeraggio Fini non si riferiva specificamente a lui, ma a un uso crescente da parte di tutti. E in politica solo i paracarri stanno fermi. Il suo ruolo istituzionale poi gli impone di proiettare le sue posizioni verso un futuro possibile». Si nota pure il ritardo, ore 18.56, di Gianni Alemanno: «Il direttore del Giornale è uomo libero, ma con le ultime uscite, è sicuro di aiutare il centrodestra? Sul caso Boffo ha creato problemi tra il Pdl e la Chiesa, adesso rischia di aprire un nuovo conflitto interno quando servirebbero unità e dibattito».
A difendere Fini sono soprattutto i fedelissimi. A cominciare da Italo Bocchino, vice capogruppo Pdl alla Camera. «Nell’analisi di Feltri - sostiene - ci sono evidenti errori politologici che la trasformano in poco elegante attacco. La destra italiana, al pari di quella europea, ha impiegato decenni per spiegare alla pubblica opinione che la sua politica non è populista. Il nostro compito non è dare risposte emotive alle paure ma offrire soluzioni stabili». Bocchino cita Sarkozy, Cameron e la Merkel e «le indagini secondo le quali Fini è il più amato dagli italiani dopo il capo dello Stato». Per Andrea Ronchi, ministro per le Politiche comunitarie, «Fini è un leader coraggioso della Cdl, cofondatore del nuovo partito». Altro che compagno, «esprime una sensibilità che ha piena cittadinanza nel centrodestra». Ronchi cerca anche di ridurre le distanze dal Cavaliere: «Quando Gianfranco parla di killeraggio mediatico, si riferisce a tutta una serie di attacchi fuori misura a cui assistiamo da mesi».
Interviene con durezza pure il Secolo d’Italia. «Abbiamo una certa difficoltà a rispondere all’articolo con cui Vittorio Feltri - scrive la direttrice Flavia Perina - ha picconato Fini. Non per le argomentazioni, ma per la frase conclusiva, “consiglio non richiesto, rientri nei ranghi”, che ci pare una gentile metafora dell’antico tornate nelle fogne». Secondo la Perina dietro «l’attacco a freddo» c’è il fatto che Fini è «il punto di riferimento di una destra non ideologica, sobria, laica, rigorosa» diversa da quella «urlante, qualunquista e lepenista in cui tanti immaginavano di sterilizzarci».
Cauta Giorgia Meloni. «Il Pdl non è una caserma, è un grande contenitore dove ci si confronta tra culture diverse. Anche quando non si è d’accordo - dice il ministro della Gioventù - e a me è capitato più volte con Gianfranco, ci si deve rispettare perché avere posizioni diverse è un motivo di crescita».
Silvano Moffa parla di «meschinità da basso impero», Antonio Mazzocchi di «un’altra vittima sacrificale di Feltri». Giulia Bongiorno afferma che «con le sue idee su immigrazione e bioetica Fini ha conquistato quegli elettori che si erano sempre tenuti lontani dalla politica». Scende in campo pure Farefuturo, la fondazione di Fini.
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