(...) assunzioni sono bloccate. E dire che l'azienda ha più di trent'anni di onorato servizio alle spalle.
«Siamo nati in piazza dei Micone prima di trasferirci a Prà, quindi in via Merano e dal 2000 in via Buccari. Il nostro più grande cliente è Finmeccanica, ma esportiamo circuiti anche in Irlanda, Germania e Francia», racconta il responsabile di Teknit. Se un tempo l'azienda genovese produceva il 100 per cento dei circuiti, oggi per resistere sul mercato è costretta a commissionare il 40 per cento a società straniere, la maggior parte delle quali (ma va?) cinesi.
Gli accordi funzionano così: «Ogni giorno noi con Internet mandiamo i file alle aziende in Cina: loro li elaborano e dopo tre giorni ci rispediscono i circuiti stampati».
Lo strumento informatico è un'arma a doppio taglio, «perché - teme Pilloni - i nostri clienti in futuro arriveranno direttamente in Cina via Internet».
E saranno dolori per tutti. C'è un altro problema: in Italia - rivela il numero uno di Teknit - le grandi aziende di elettronica che in passato davano centinaia di milioni di lavoro, oggi sono sparite. Italtel, Olivetti e Bull non ci sono più. «E le nostre aziende perdono opportunità importantissime».
Come uscire dalla crisi? L'amministratore delegato di Teknit propone una sinergia tra le imprese che producono circuiti stampati, in difesa dei prezzi e per cercare una migliore visibilità sul mercato. Ma non è facile. Il «mostro» cinese butta sul campo duemila aziende specializzate in questo settore, nelle quali lavorano migliaia di dipendenti. Per dire: la più grande ditta italiana (ora fallita) dava lavoro a 600 persone, in Cina esistono aziende con 4600 dipendenti. Le regole del gioco le dettano i cinesi.
«Ormai in Europa girano i prezzi che dettano loro».
Non incoraggia all'ottimismo il silenzio delle istituzioni. «Temo che i politici non abbiano percepito la gravità della situazione - scandisce Pilloni - Spero che questo S.o.s prima o poi venga raccolto».
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