I "grand tour" di Gianfranco si fermano all’anticamera

Fini spaccia le sue visite all’estero come grandi successi, ma i leader internazionali lo snobbano. Così l’incontro con il premier britannico è durato soltanto sei minuti

Roma Qui da noi è il principe della Camera ma quando va all’estero gli tocca spesso l’anticamera. Il grand tour di Fini in Europa, «per fare arrivare alle cancellerie internazionali il senso della sua nuova svolta», come hanno scritto le gazzette finiane, è partito il mese scorso dall’Inghilterra del conservatore Cameron. L’accoglienza, diciamo così, non è stata proprio in pompa magna, anche se il Secolo d’Italia, giornale di famiglia, lo ha rappresentato in stile Istituto Luce. Quel che raccontano i testimoni di quell’incontro, invece, ridimensiona, e di molto, la portata storica dell’evento: sei minuti netti, non di più, comprese strette di mano e posa per le foto di rito. In pratica il tempo per salutarsi e dirsi in bocca al lupo, stando agli occhi e alle orecchie di chi c’era, e malgrado Fini abbia rivenduto poi alla stampa italica una profonda sintonia col premier britannico, finiano ad honorem: «Ci sono state oggettive analogie - disse -, una convergenza di preoccupazioni e una convergenza su ricette e riforme da individuare». Vago quanto basta, stile Montecarlo.
La domanda è: ma le cancellerie internazionali sono davvero interessate al leader Fli? Vedono in lui la promessa di una destra europea e seria, più di quella che fa capo a Berlusconi, come raccontano in giro i fedeli di Gianfranco? I finiani, in una logica propagandistica fondata sul fumo, hanno più volte dichiarato che il mondo atlantico, Usa in primis, farebbe il tifo per Fini, considerato un interlocutore più affidabile di Berlusconi troppo amico di Putin e Gheddafi. Lo spot è buono, peccato che abbia tutta l’aria della bufala.
Invano i finiani hanno atteso il palesarsi dell’ambasciatore americano a Bastia Umbra, per la convention Fli. La verità è che gli Usa non sono per nulla sponsor del disarcionamento finiano del Cav, e se si sono fatti un’idea positiva di Fini è perché hanno imparato a conoscerlo come ministro degli Esteri del precedente governo Berlusconi, non nelle vesti attuali. «A Washington considerano sicuramente Fini un politico serio e lo rispettano - spiega al Giornale Edward Luttwak, analista e consigliere del Dipartimento di Stato americano -, ma non fanno affatto il tifo per un cambio di governo, anzi è vero il contrario, hanno forti preoccupazioni per la stabilità di Berlusconi, che è considerato dalla Casa Bianca un eccellente alleato e un galantuomo. Anche il giudizio su Ruby o su certi comportamenti di Berlusconi sono formulati in quest’ottica, cioè nel timore che possano minare la continuità del suo operato. Se Berlusconi restasse altri dieci anni, gli Usa sarebbero ben contenti. Le relazioni del vostro premier con Putin e Gheddafi? Non sono considerate strategiche da Washington, che le giudica come una forma di attivismo personale suo, nel contesto di un legittimo interesse italiano che non tocca il rapporto con gli Usa».
E i vertici tedeschi, quelli che gli riferivano a Fini commenti irripetibili dopo l’affaire Ruby? Anche qui occorre separare il fumo dall’arrosto, che è scarsino a quanto risulta da queste parti. La delegazione italiana che ha accompagnato Fini nella recente missione ufficiale in Germania (composta anche dal deputato finiano Alessandro Ruben, il vero «ministro degli esteri» di Fini e l’uomo senza il quale, dicono, faticherebbe ancor di più a muoversi tra le diplomazie estere) racconta un episodio e aggiunge un sussurro da ben informati. Pare che nell’incontro a Berlino, Gianfranco Fini abbia tentato di incontrarsi con Karl-Theodor zu Guttenberg, influente ministro della Difesa ed astro nascente della politica tedesca, ma che abbia strappato soltanto una foto... Un deputato, poi, racconta una confessione del ministro dei trasporti tedesco Peter Ramsauer, della bavarese Csu, e cioè che tra i Cristiano sociali tedeschi non godrebbero di grande simpatia i «post fascisti di Gianfranco Fini», con i suoi colonnelli eredi del Msi.
In Francia le cose vanno meglio? Non sembra. Proprio nei giorni scorsi il portavoce dell’Ump e consigliere dell’Eliseo, Dominique Paillé, ha accolto una delegazione del Pdl, guidata dai deputati Pdl eletti all’estero insieme al referente in Francia (e corrispondente da Parigi del berlusconissimo Predellino di Stracquadanio) Andrea Verde, salutandoli con queste parole eloquenti: «Le relazioni tra Italia e Francia non sono mai state così buone, grazie al feeling esistente tra i Presidenti Berlusconi e Sarkozy».

Sulla questione Rom (contestata dalla Ue) l’Eliseo ha molto apprezzato l’appoggio italiano, mentre su quello come su altri temi legati alla cittadinanza degli immigrati il presidente Sarkozy non potrebbe essere più lontano dal multiculturalismo all’acqua di rose finiano. Si parla infatti, a Parigi, di sarkoberlusconismo, non certo di sarko-finismo. Però almeno, a Parigi, l’anticamera di Fini sarà molto più charmant.

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