I lager sabaudi, lato oscuro del Risorgimento

Caro Granzotto, nell’ammettere di aver esagerato nel definire lo Spielberg un esempio di durezza e di rigore, il suo dirimpettaio Mario Cervi rispondeva a un lettore che si riferiva anche al carcere di Fenestrelle, ai «lager» di Alessandria e di altre località che ora non ricordo e dove, sempre a detta del lettore, languirono e morirono i prigionieri politici napoletani e pontifici. Che storia è questa? Lei, il mio storico di riferimento, ne sa qualcosa? Ad esempio, dove si trova il carcere di Fenestrelle? È ancora in funzione?

Ma certo che ne so qualcosa, caro Bianchessi, sennò che suo storico di riferimento sarei? (Badi però che gli storici avrebbero da ridire su quello «storico». In italiano storico sta per studioso e/o autore di opere storiche, ma com’è come non è le due attività non bastano per fare uno storico. Serve una patente e a rilasciarla deve essere uno storico - di sinistra, è evidente - che si proclami più storico degli storici. Uno storicone, in sostanza, uno storicissimo. Autoelettosi perito storico, costui si arroga infine la facoltà di sentenziare se uno storico può dirsi storico. Ebbene, io quella patente di storico non l’ho, restando uno storico non storico. Chiaro?). Di Fenestrelle e d’altri lager (la fortezza di Fenestrelle, in Piemonte, fu un lager) se ne sa poco, caro Bianchessi, perché, rappresentando il lato oscuro del Risorgimento, la Vulgata, che è tutto un tripudio di eroismi e di bellurie unitarie, ovviamente non ne volle tener conto. In due parole di questo si tratta: annessosi il Regno delle Due Sicilie, il Piemonte si ritrovò con una massa di legittimisti, di soldati duosiciliani che non intendevano cambiar divisa e arruolarsi nell’esercito piemontese e di «briganti», cioè gli insorgenti, i partigiani, diremmo oggi, che combatterono nella Resistenza la loro guerra di liberazione. Solo quest’ultimi, all’incirca 70mila. Cosa farne?, si chiesero a Torino. Mettiamoli in galera. Alla bisogna furono destinate una mezza dozzina di fortezze, la più tristemente nota quella di Fenestrelle, nell’Alta Val Chisone. Vi furono rinchiusi, palla di quindici chili al piede, migliaia di soldati napoletani la cui aspettativa di vita, per la durezza del clima e del disumano trattamento, non superava i tre mesi (dicevo che era un lager. Vuol sapere, caro Bianchessi, cosa si leggeva, ma credo si legga tuttora, scolpito sull’architrave del portale d’ingresso di Fenestrelle? «Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce». Le ricorda niente?).
Non è finita. Anche se la morte sfoltiva il numero degli internati, questi rappresentavano pur sempre un impiccio, senza aggiungere che la presenza dei gulag non faceva fare tutta questa gran bella figura all’amministrazione piemontese. Fu così che l’allora presidente del Consiglio, il generale Luigi Menabrea si rivolse al governo argentino per ottenere la concessione di una vasta area in Patagonia per installarvi una colonia penale destinata ai legittimisti borbonici. Avendo Buenos Aires rifiutato, e vorrei vedere, Menabrea progettò allora di inviare una squadra navale negli arcipelaghi del Pacifico, dove un’isola disabitata la si sarebbe pur trovata. Un po’ per mancanza di mezzi, molto perché intanto nelle fortezze la morte faceva gli straordinari, la cosa non ebbe seguito. Ora che ci apprestiamo a celebrare i centocinquant’anni dell'Unità, su storie di questo genere bisognerebbe metterci una pietra sopra, lo so bene.

Anche se continuo a pensare che siamo diventati abbastanza adulti per poter finalmente guardare al Risorgimento per quello che realmente fu e non per come è raccontato nelle stucchevoli agiografie, con i pennacchi e i plebisciti a furor di popolo. O non è vero che un Paese che non conosce la propria storia è destinato a ripeterne gli errori?

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