Cultura e Spettacoli

I latinoamericani

Il fondatore Urroz: «No ai romanzi facili, torniamo all’opera-mondo»

Mexico e nuvole, lessico e favole. Lettori, attenti: lo tsunami letterario partito anni fa dal golfo del Messico sta per schiantarsi sui nostri lidi editoriali. Spazzata via la «vecchia» Macondo, irrompe con furia in Europa. L’onda lunga, sollevatasi da Mexico City dieci anni fa, si chiama Crack. Un gruppo di scrittori con in testa un’idea-forte di letteratura che ha scelto come nome-manifesto un’onomatopea, una parola-suono che vuol dire «rompere», «spezzare», «farla finita». Ma farla finita con che cosa? «Con i pregiudizi che appesantiscono la letteratura latino-americana; con gli epigoni di quarta categoria di Gabriel García Márquez; con le riproposizioni, stanche e noiose, del realismo-magico del “c’era una volta”; con la letteratura facile, di consumo, che condanna il lettore a un ruolo inerte», è la risposta di Eloy Urroz, uno dei fondatori storici del Crack con due amici incontrati sui banchi del liceo, a Città del Messico, alla fine degli anni Ottanta: Jorge Volpi e Ignacio Padilla.
A raccontarci come andarono le cose è lo stesso Urroz, in questi giorni in Italia per presentare il suo romanzo Las Rémoras, uscito in Messico nel 1996 e ora tradotto da noi dall’editore Monboso, che con questo titolo inaugura la collana «Nubes» curata da Grazia Bruttocao e destinata a raccogliere le opere-chiave del Crack. All’inizio il gruppo rimase unito grazie all’amicizia e a una certa affinità letteraria. Poi, a metà degli anni Novanta, il gran salto. Ai tre amici si aggiungono i romanzieri Pedro Angel Palou e Ricardo Chávez Castañeda; poi arrivano anche Vicente Herrasti, Alejandro Estivill, Sergio Pitol, e altri ancora si avvicinano pur non sposando completamente l’operazione, come Guillermo Arriaga, romanziere (da Fazi negli ultimi due anni sono usciti Il bufalo della notte e Un dolce odore di morte) e sceneggiatore di due film-gioiello del regista Alejandro Gonzaléz Iñarritu: Amores Perros (2000) e 21 Grammi (2003).
Proprio i primi cinque amici - Urroz, Volpi, Padilla, Palou, Chávez - nell’estate del ’96 firmano in puro stile avanguardista e con molta auto-ironia il Manifiesto del Crack (in uscita anche da noi grazie alla stessa casa editrice Monboso) che definisce idee, direttive e linee della «confraternita», come amano chiamarsi. «Ripeto - precisa Urroz - noi non eravamo e non siamo contro Rulfo, García Márquez, Vargas Llosa, Fuentes, Onetti e i grandi maestri della letteratura latino-americana, quella del boom degli anni Cinquanta-Sessanta. Noi eravamo e siamo contro i loro epigoni dei decenni successivi che hanno trascinato fino a oggi, banalizzandolo, il realismo-magico. Non vogliamo uccidere i nostri padri, ma sbarazzarci dei figli illegittimi; l’obiettivo non è spazzare via un genere che ha fatto la storia della nostra letteratura, ma semmai rinnovarlo».
Sul fatto che il realismo-magico sia tramontato da un pezzo e che la letteratura sudamericana sia percorsa (finalmente) da nuovi brividi, non ci sono dubbi. A farlo notare sono anche i colombiani del cosiddetto Baby Boom (Mario Mendoza, Jorge Franco Ramos, Santiago Gamboa o Juan Carlos Botero) e i cileni della Generación McOndo (Alberto Fuguet, Sergio Gómez e altri). Ma sono stati proprio i messicani del Crack a «spezzare» per primi i vecchi schemi del «latinoamericanismo». Ossia, come scrive in un saggio di prossima pubblicazione una delle studiose italiane più attente di questa corrente letteraria, Giuliana Adamo del Trinity College di Dublino: «Sradicare i pregiudizi inerenti alla letteratura latino-americana; scappare dalla trappola del realismo magico forzoso che, dopo gli alti risultati di García Márquez è stato malamente abusato e immiserito e svilito dai suoi epigoni; allargare le possibilità intrinseche del genere romanzo e tornare ai grandi universi narrativi, totalizzanti, di più ampio respiro narrativo (la cosiddetta “opera-mondo”); recuperare la funzione attiva del lettore, riscattandolo dal ruolo passivo a cui l’ha sempre più ridotto la società mass-mediatica, globalizzata, telestupefatta; riscattarlo da quel ruolo totalmente passivo a cui l’ha condannato la strabordante produzione di tanta letteratura facile, di consumo, che nella lettura richiede l’uso del solo organo della vista...».
Tutti nati negli anni ’60, gli scrittori del Crack hanno un’altra caratteristica comune. Sono dei «professionisti» della letteratura. Scrittori molto prolifici e molto attivi in diversi campi - narrativa, poesia, saggistica - con forti basi teoriche: sono critici, docenti universitari, studiosi, ben coscienti della tradizione che li ha preceduti, e i cui testi non a caso sono ricchissimi di citazioni e riferimenti letterari. «Il mio Las Rémoras - dice Urroz - è in fondo un grande omaggio alla letteratura latino-americana». E il suo romanzo-manifesto (la storia di Ricardo Urrutia, alter ego dell’autore, che scrive un romanzo su un villaggio della Bassa California dal nome Las Rémoras dove si scopre che c’è uno scrittore che a sua volta sta scrivendo un libro che coincide in modo sospetto con quella di Ricardo) è esemplare, anche sul piano dello stile, della poetica del gruppo: un continuo gioco di specchi, incastri, sovrapposizioni, personaggi reali e immaginari, vicende doppie e speculari che costringono il lettore a partecipare attivamente allo «svelamento».
Il tutto con una lingua tradizionale rifiutando - come ha scritto Pedro Angel Palou nel Manifiesto - «questo nuovo esperanto che è il linguaggio standardizzato dalla televisione». E pensare che nello stesso 1996 in Italia invece esplodeva il Pulp... Solo che dai noi i «cannibali» finirono in tv e su tutte le pagine di cultura (e ancora ci stanno), in Messico Urroz&C. furono accolti con disprezzo dalle generazioni più vecchie e con indifferenza dalle più giovani.
Strapazzati o ignorati dalla critica, gli scrittori del Crack furono per mesi l’oggetto polemico della stampa infastidita soprattutto dall’idea di «gruppo letterario» (ma anche dal fatto che molte delle loro storie non si svolgevano in Messico: quindi anche filo-stranieri!). Un silenzio durato anni, almeno fino al 1999, quando il romanzo di Jorge Volpi, En busca de Klingsor (tradotto in Italia nel 2000 da Mondadori col titolo In cerca di Klingsor), vince uno dei premi letterari più prestigiosi di Spagna. Dopo, bastò che l’autore definisse pubblicamente il libro «un romanzo Crack» per assicurare al gruppo fama, rispetto, successo in patria e traduzioni all’estero...

Fino a sbarcare in Italia: dopo l’arrivo di Jorge Volpi, Eloy Urroz pubblica ora il suo Las Rémoras; Fanucci, che ha appena tradotto Ombre senza nome di Ignacio Padilla, il prossimo giugno uscirà con un altro suo romanzo, Espiral de arilleria, e a ottobre anche con l’antologia Tres bosquejos del mal, proprio i racconti che tre amici di liceo - Volpi, Padilla e Urroz - scrissero, nel ’94, poco prima di gridare: Crack.

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