I magistrati sono ostili a ogni riforma

Caro Granzotto, ho appena sentito della protesta epocale che le toghe pensano di indire contro la proposta di riforma della giustizia italiana. Quando ho letto che moltissimi magistrati per protesta sarebbero pronti a dimettersi e a cercarsi un altro lavoro, mi sono quasi strozzato dalle risate. Magari! ho malignamente pensato, ma scommetto che nessun magistrato italiano, di fronte al rischio di dover lavorare sul serio, mollerebbe mai la cadrega. Il frontale con la realtà, con la quale fa i conti il resto dei cittadini, sarebbe per le manine morbide e vellutate dei legulei qualcosa di devastante. Sono anche certo che neppure la riforma farebbe del lavoro di magistrato qualcosa di particolarmente faticoso, quindi sono tutte chiacchiere! Il governo vada avanti, che tanto questi non si levano dai piedi neanche morti!
Lonate Ceppino (Varese)

Questo è sicuro, caro Gentiloni. Da quel che abbiamo visto il magistrato molla la cadrega solo per varcare la soglia della Camera, del Senato o meglio ancora dell’europarlamento, confortevoli sodalizi dove la voglia di lavorare non è che salti proprio addosso. Cosa altrettanto sicura è che reagiranno alla riforma della giustizia con «risposte epocali», come gentilmente mette sull’avviso, in nome dell’Associazione nazionale dei magistrati della quale è dirigente, il procuratore (presso il tribunale di Milano, e quale altro se no?) Armando Spataro. E fra le risposte epocali c’è lo sciopero delle toghe. Una scelta inaudita in una società civile e democratica e sulla quale stupisce che il Capo dello Stato, eppure assai propenso all’esternazione, non intervenga per denunciarne lo spirito sovversivo. Ruolo della magistratura è quello - ed esclusivamente quello - di applicare la legge. Legge che proviene appunto dal potere legislativo sul quale, per il principio costituzionale della divisione dei poteri, essa non può, essa non deve intervenire. Né forzarne la volontà scendendo in piazza (sarebbe come se i parlamentari scioperassero contro questa o quella sentenza d’un tribunale. S’è mai visto?).
Vorrei aggiungere che dal numeroso corpo dei magistrati non s’è levata una sola voce contraria alle «risposte epocali», smentendo dunque l’esistenza di un chiassoso nucleo radicale non rappresentativo dell’insieme del corpo giudiziario: sono tutti corporativi e reazionari, qui nel senso di ostili a ogni riforma. Che pure, oltre a essere indirettamente invocata dalle massime autorità togate ed ermellinate nel corso d’ogni inaugurazione dell’anno giudiziario, non prestano il minimo appiglio a una critica sensata. Provi a chiedere anche al più sincero dei «sinceri democratici», caro Gentiloni, che nocumento porta alla giustizia la divisione delle carriere. Al massimo le risponderanno, come hanno risposto a me, che comprometterebbe il cameratismo e gli eventuali rapporti di amicizia fra pm e giudici. Provi a chiedere perché a differenza d’ogni essere umano un magistrato non deve essere responsabile degli errori commessi. Otterrà in cambio il silenzio. Provi a chiedere la ragion d’essere del ricorso in appello da parte dell’accusa. Dovrebbero risponderle che un magistrato può sbagliare, ma così finirebbero per disconoscere la sacralità della giustizia (la cui bilancia infatti risulta, in ogni raffigurazione, in perfetto equilibrio).

Quanto al Csm, una volta separate le carriere chi potrebbe mai contestare il suo sdoppiamento in un organo di autogoverno della magistratura inquirente e in uno destinato alla magistratura giudicante? Purtroppo è così, caro Gentiloni: le «risposte epocali» non vengono date in difesa della giustizia, ma del suo sistema, di una casta che si pone al di sopra dello Stato e della sua Costituzione e che si vuole intoccabile, insindacabile e per giunta irriformabile.
Paolo Granzotto

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