Carissimo Granzotto, la mattina ascolto spesso la rassegna stampa di Radio3 e talvolta mi è capitato anche di intervenire. Volevo farlo stamattina, ma non mi è stata data la parola. La domanda che volevo fare era semplice e brevissima: aveva lesimio giornalista letto la lettera che Gabriele Cagliari scrisse prima di suicidarsi? E lei, amico Granzotto, potrebbe parlare un po di questa lettera? Giusto per sapere chi sono certi magistrati che anelano a incarcerare ad ogni costo Berlusconi, e a questa missione, e solo questa, hanno dedicato la loro vita.
Genova
«La convinzione che mi sono fatto è che i magistrati considerano il carcere nientaltro che uno strumento di lavoro, di tortura psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione, o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente. Il carcere non è altro che un serraglio per animali senza teste né anima. (...) Siamo cani in un canile dal quale ogni procuratore può prelevarci per fare la propria esercitazione e dimostrare che è più bravo o più severo di quello che aveva fatto unanaloga esercitazione alcuni giorni prima o alcune ore prima. (...) Stanno distruggendo le basi di fondo e la stessa cultura del diritto, stanno percorrendo irrevocabilmente la strada che porta al loro Stato autoritario, al loro regime della totale asocialità. Io non ci voglio essere. (...) Hanno distrutto la dignità dellintera categoria degli avvocati penalisti ormai incapaci di dibattere o di reagire alle continue violazioni del nostro fondamentale diritto di essere inquisiti, e giudicati poi, in accordo con le leggi della Repubblica. (...) Non sono soltanto gli avvocati, i sacerdoti laici della società, a perdere la guerra; ma è lintera nazione che ne soffrirà le conseguenze per molto tempo a venire. (...) Quei pochi di noi caduti nelle mani di questa giustizia rischiano di essere i capri espiatori della tragedia nazionale generata da questa rivoluzione (...) Io sono convinto di dover rifiutare questo ruolo. È una decisione che prendo in tutta lucidità e coscienza, con la certezza di fare una cosa giusta». Questi sono alcuni passaggi della lunga lettera che il presidente dellEni Gabriele Cagliari scrisse dal carcere il 10 luglio 1993 preannunciando alla famiglia il suo imminente suicidio. Cagliari era agli arresti - «custodia cautelare» - da quattro mesi. Tutte le richieste inoltrate per ottenere gli arresti domiciliari erano state respinte non ostante, come scrisse Cagliari, «tutto quanto mi viene contestato non corre alcun pericolo di essere rifatto, né le prove relative a questi fatti possono essere inquinate in quanto non ho più alcun potere di fare né di decidere, né ho alcun documento che possa essere alterato. Neppure potrei fuggire senza passaporto, senza carta didentità e comunque assiduamente controllato come costoro usano fare. Per di più ho sessantasette anni e la legge richiede che sussistano oggettive circostanze di eccezionale gravità e pericolosità per trattenermi in condizioni tanto degradanti». Il Pm che ne aveva richiesto la carcerazione preventiva, che per un mese e mezzo lo lasciò in cella senza incontrarlo o interrogarlo una sola volta e che seguitava a negargli i domiciliari si chiamava Fabio De Pasquale. Era in ferie, in vacanza, al mare quando il 20 luglio Gabriele Cagliari si tolse la vita. Si ipotizzarono, per De Pasquale, responsabilità dirette nel suicidio del detenuto, l«abuso di ufficio e morte come conseguenza di altro delitto». Il provvedimento fu archiviato nel 1996 dal gip Giuseppe Ondei per il quale: «Si deve, senza dubbio, ritenere che nella condotta tenuta dal De Pasquale nella vicenda in oggetto non sia ravvisabile alcuna ipotesi di reato».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.