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I preti non ci sono più: le parrocchie ai laici

Le parrocchie sono rimaste senza preti e i pochi sopravvissuti devono celebrare messe o funerali anche in venti paesi diversi Così, per far fronte all'emergenza, arrivano i laici

I preti non ci sono più: le parrocchie ai laici

La messe è molta, sempre di più, e gli operai sono pochi, sempre meno, se non altro nell'Occidente scristianizzato e sicuramente in Italia, dove ormai quasi il 10 per cento del clero proviene dall'estero. Crisi delle vocazioni religiose e assieme crisi di un modello organizzativo, quello fondato sulle parrocchie, simbolo della presenza della Chiesa e della sua diffusione popolare su un territorio dove le cattedrali, i sagrati e le piazze hanno disegnato la struttura anche urbanistica di città e paesi e sorretto la vita di tante persone. Ma questa gente frequenta sempre meno le parrocchie, non sente l'appartenenza a un certo contesto sociale, vive più isolata. E mancano i preti. Delle 25.610 parrocchie italiane, una su tre (8.705) sono scoperte, vuote di sacerdoti e di punti di riferimento prima ancora che di fedeli, specialmente quelle di montagna, dove a volte la messa non si celebra nemmeno tutte le domeniche.

Agenda piena

Parroci addio. E quelli che restano sono sovraccarichi di impegni. Da settembre il trentino don Maurizio Toldo, 44 anni, detiene il record: 19 parrocchie nelle Valli Giudicarie. Santa Croce del Bleggio, Balbido, Cares, Cavrasto, Ponte Arche, Rango, Quadra, Fiavè, Ballino, Campo Lomaso, Godenzo-Poia, Lundo, Vigo Lomaso, San Lorenzo in Banale, Dorsino, Seo, Stenico, Tavodo, Villa Banale. Sono parecchi i parroci globe-trotter nelle montagne trentine: don Carlo Crepaz ha 15 parrocchie, don Enrico Pret 13, don Tiziano Filippi e don Renato Pellegrini 12, don Albino Dell'Eva e don Livio Buffa 10. La domenica non riposano ma fanno gli straordinari: due o tre messe al mattino e un paio nel pomeriggio, ognuna in una località diversa, quasi più tempo in auto fra i tornanti che all'altare. E poi battesimi, funerali, gruppi di preghiera, confessioni, visite ai malati, incontri di catechismo per bambini e adulti, consigli pastorali. E i grattacapi amministrativi, visto che il parroco è il rappresentante legale dell'ente: soltanto le revisioni annuali di caldaie ed estintori prendono giorni. Dove non arriva il parroco subentra un collaboratore in pensione. E dove non si presenta nessuno, i fedeli si adattano con il fai da te: leggono le letture, pregano, cantano e ricevono la comunione da un ministro straordinario del- l'eucaristia.

I multiparroci sono sempre più numerosi. Al cremonese don Claudio Anselmi, 59 anni, vocazione adulta (entrò in seminario dopo la laurea in economia e commercio), di chiese ne sono toccate sei: quand'è venuto in zona, a Bozzolo sulla tomba di don Mazzolari, papa Francesco gli ha raccomandato di imparare i nomi di tutte le famiglie. Sei anche per don Luca Violoni, prevosto a San Giuliano Milanese, e sette per don Fabrizio Tessaro nel Bellunese, tra Lamon e Sovramonte. Altrettante a don Franz Josef Campidell in Alto Adige nelle zone vinicole tra Cortaccia e Termeno. Racconta il bergamasco don Primo Moioli, 44 anni, titolare di cinque parrocchie in Val Serina: «A Sovere quand'ero bambino avevamo il parroco, il viceparroco, le suore, i frati, il cappellano della casa di riposo e due sacerdoti in pensione. I preti andavano a caccia e coltivavano l'orto. Oggi i frati e le suore hanno chiuso, a gestire cinque parrocchie siamo io e un sacerdote settantenne per 3.000 abitanti che d'estate diventano 15-20mila. Altro che orto: si fatica a trovare la mezza giornata per il dentista».

Nella provincia di Bolzano il vescovo Ivo Muser ha esteso l'utilizzo del «responsabile parrocchiale», figura prevista dal Codice di diritto canonico. Un diacono o un laico, anche donne, che non celebra la messa e non confessa, ma fa tutto il resto: battezza, celebra matrimoni, dà la prima comunione o la porta ai malati, segue la formazione spirituale, insegna catechismo e amministra la parrocchia con il suo carico di registri, certificati, bilanci. Viene nominato dal vescovo su proposta del consiglio pastorale e ha diritto a un compenso.

In Alto Adige, da Vipiteno alla Val Venosta, sono 27 le parrocchie senza parroco affidate da qualche mese ai laici. La messa si celebra ogni 15 giorni. In diocesi i sacerdoti sono 177 per 281 parrocchie e in un breve arco di tempo l'anzianità di molti e il mancato ricambio (i seminaristi sono soltanto 3) li ridurrà a una cinquantina. In prospettiva, spiega Reinhard Demetz, direttore dell'Ufficio pastorale diocesano, ogni parroco dovrà gestire direttamente una sola parrocchia, mentre nelle altre saranno nominati responsabili laici e il prete sarà semplicemente un collaboratore. Nella diocesi di Vittorio Veneto (Treviso) Elio Cao, diacono permanente, è stato nominato amministratore parrocchiale di Corbanese e Arfanta e monsignor Adriano Sant, direttore dell'ufficio amministrativo diocesano, è suo collaboratore. Un monsignore subordinato a un laico. In quella diocesi oltre metà delle 162 parrocchie non hanno un parroco residente. E siamo in Veneto, un tempo la sacrestia d'Italia.

Largo ai laici

Il coinvolgimento dei laici è una strada seguita in molti Paesi d'Europa. In Portogallo, per esempio, Paese di antica tradizione cattolica, i pluriparroci hanno garantito il «servizio domenicale in assenza del prete» raccogliendo volontari tra 24 e 65 anni che nelle feste guidano la preghiera e i canti. Pratiche da terre di missione, frequenti anche in Svizzera, Olanda, Francia, Canada e Stati Uniti. In Germania è stata avviata la formazione di laici dalla provata esperienza umana e spirituale per accompagnare le famiglie nel momento del lutto. È la sussidiarietà applicata alla gerarchia cattolica: i preti amministrano i sacramenti, tutto il resto ricade sulla base.

Clericalizzazione

I vescovi italiani hanno scelto di non «clericalizzare» troppo i laici ma di redistribuire i preti. Nel 2003 l'assemblea generale della Cei nel documento Il volto missionario della parrocchia ha proposto il modello delle cosiddette unità pastorali, cioè accorpamenti di parrocchie affidate a un «pool» di preti. Il cardinale Carlo Maria Martini a Milano ne era stato antesignano a fine Anni 90. La riorganizzazione cerca di non disperdere la presenza territoriale della Chiesa e quei riferimenti che molti ancora chiedono. «Siamo chiamati a ristrutturare una casa antica e ormai invecchiata, non per rimettere in valore il suo pregio di antichità (la tradizione), ma per renderla abitabile per gli inquilini di oggi»: così scrive monsignor Nunzio Galantino, segretario della Cei, nella prefazione di un libro da poco uscito in Italia, Divino rinnovamento, del sacerdote canadese James Mallon.

La parrocchia è un fulcro di attività con gli oratori, i doposcuola, il volontariato nella San Vincenzo, l'assistenza ai poveri; alcune conservano un cinema o ostelli per le vacanze dei gruppi. La parrocchia è il campanile, un simbolo in cui riconoscersi, un segno di appartenenza e identità. È l'emblema stesso della Chiesa, ribadito nei decenni scorsi di fronte all'espansione dei nuovi movimenti cattolici che spesso prescindevano dalla struttura territoriale ecclesiastica. Così si spiega perché molti fedeli, soprattutto gli anziani (che poi sono rimasti i frequentatori più assidui), faticano ad adattarsi alle novità imposte dalla mutata demografia clericale: messe diradate, orari a incastro con le chiese vicine, preti intercambiabili, basiliche aperte in orario di ufficio. Il sociologo Franco Garelli ha paragonato le nuove parrocchie agli ipermercati. Come scompare il negozio di prossimità, così non c'è più il prete sotto casa. Chi vuole il servizio deve recarsi alle grandi centrali che lo offrono.

Una Chiesa senza preti? Il film Silence di Martin Scorsese ha riacceso l'attenzione sulla storia dei cattolici in Giappone, che per 212 anni hanno conservato la fede senza sacerdoti. In Brasile si propone di ordinare preti i «viri probati», uomini sposati di consolidata virtù. Le frange più progressiste insistono per l'ordinazione delle donne: ma tra le confessioni protestanti, dove le donne fanno le sacerdotesse e pure i vescovi (o le vescove), i seminari non traboccano. Nel frattempo la crisi delle vocazioni in Occidente mette a confronto due modelli: le parrocchie come tante piccole arche di Noè in cui chiudersi aspettando che passi il diluvio, e quelle aperte nonostante tutto.

Perché anche per la Chiesa, come è stato per molte imprese, la crisi può essere un'opportunità.

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