I pasticci a sinistra su Baraldini e Cermis

Ho visto in Tv la breve cerimonia di commemorazione a Cavalese della tragedia del Cermis dove venti turisti (italiani e stranieri) sono stati uccisi dall’arroganza di due top-gun statunitensi in volo di «piacere». Per un’inammissibile manfrina giuridico-diplomatica fra le nostre autorità e quelle americane, con il pretesto dei trattati Nato i due aviatori, invece di andare in galera per almeno trent’anni, sono rientrati negli Usa, ivi giudicati ed espulsi dall’esercito. Sai che punizione! Sono filo-americano, tuttavia ricordo che quel fatto mi fece auspicare un duro intervento italiano. Purtroppo i nostri governi sono normalmente privi di attributi. Tempo dopo gli Usa ci restituirono Silvia Baraldini. Voce corrente riferiva che il ritorno della Baraldini in Italia era stato possibile perché avevamo rinunciato ad ogni nostra richiesta nei confronti dei due top-gun, scambiando quei poveri morti con una detenuta giudicata colpevole in maniera definitiva. La Baraldini, che si era lamentata delle poco confortevoli celle romane, dopo pochi mesi fu giudicata ammalata e per tale ragione lasciata ai domiciliari. Credo che attualmente sia completamente libera e fortunatamente per lei in buona salute. Fatte le dovute proporzioni trattata come Sofri, non certo come Contrada.


Bruttissima storia, anzi, bruttissime storie, caro Silvestri. Ben decisi di attenerci alle norme del diritto internazionale noi non potevamo far di più di quel poco che abbiamo fatto. Noi e i tedeschi, i belgi, i polacchi, gli austriaci e gli olandesi, che lamentarono sedici delle diciannove vittime di Cermis. La volontà di citare in giudizio i piloti americani c’era, ma lo impediva la Convenzione di Londra sullo statuto dei militari Nato. Per cui il processo si svolse negli Stati Uniti, con l’esito che lei ha ricordato: scagionati dall’accusa di omicidio multiplo colposo (che, se ci pensa, prima del recentissimo giro di vite era la conclusione di ogni procedimento a carico di chi, per guida spericolata o perché ubriaco o «fatto» di droga, provocava incidenti mortali). Vale la pena di ricordare che alla Casa Bianca sedeva allora quel campione democratico di Bill Clinton e che a Palazzo Chigi sedeva un signore di nome Romano Prodi. Né l’insolenza statunitense né l’arrendevolezza italiana possono dunque essere addebitate alle forze oscure della reazione. Meno che mai il susseguente mercimonio: una pietra sopra alla vicenda di Cermis in cambio della liberazione o comunque del trasferimento in Italia, di Silvia Baraldini. Gli attori sono infatti gli stessi, Clinton e Prodi, al quale si aggiungeranno, per il rush finale, Massimo D’Alema e quel gioiello di Oliviero Diliberto.
Naturalmente il Governo ha sempre smentito il baratto, ma per la stampa americana il rimpatrio della Baraldini, resta «un gesto inteso a placare la rabbia degli italiani in seguito all’assoluzione dei due piloti coinvolti nella strage della funivia del Cermis». Il resto della storia è nota: il 25 agosto 1999 la Baraldini giunse in Italia accolta all’aeroporto dal ministro della Giustizia (sempre lui, quel gioiello di Diliberto). Nell’aprile del 2001 le vennero concessi gli arresti domiciliari.

Nel 2003 Veltroni le offrì un incarico al Comune di Roma e il 26 settembre 2006, infine, le fu concessa la piena libertà quando, in base agli accordi, avrebbe dovuto scontare ancora una decina d’anni di galera. Tutto ciò in violazione di quel diritto internazionale che solo otto anni prima veniva ritenuto ostacolo insuperabile per rendere giustizia alle vittime di Cermis.

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