I patti chiari del Cav: governiamo ma se Fli non è leale pronti al voto

MilanoChe i toni sarebbero stati da campagna elettorale lo si inizia ad intuire quando partono le note di Meno male che Silvio c’è, il refrain che ha accompagnato i comizi del Cavaliere per tutto il 2008. E la conferma arriva pochi minuti dopo l’inizio del suo intervento, con un Berlusconi arrembante come non lo si vedeva da un po’ di tempo. Il premier affonda i colpi sui temi cari al popolo del centrodestra e non molla la presa neanche un attimo. Mai una battuta, mai un sorriso, nemmeno quando cita la laurea breve di Di Pietro («mi ha convinto della necessità di riformare l’università») o quando dalla platea un omone sui cinquanta urla a squarciagola «Silvio ti amo». In altri momenti sarebbe stata l’occasione per un siparietto ironico o per una delle sue frequenti gag.
Niente di niente. Perché, spiegherà poi in privato, «non è il momento di scherzare». Non solo per l’allarme sicurezza - alto più di quanto faccia sapere la questura, al punto che un elicottero della polizia seguirà il percorso del corteo da Arcore al Castello Sforzesco e viceversa - ma anche perché la gente è stufa di «vederci litigare» e «sentirci parlare di cose che non hanno nulla a che vedere con i loro problemi».
Sul punto, d’altra parte, anche i sondaggi di Euromedia Research sono implacabili e così Berlusconi decide di concentrare tutto l’intervento su «quanto abbiamo già fatto» e «quanto faremo». Per rivendicare «successi offuscati» da «tre mesi di incomprensibile stillicidio» e per rilanciare in vista di un ritorno alle urne in primavera che sembra sempre più probabile. Non è un caso che il premier torni ancora una volta a ripetere che è impensabile ogni ipotesi di governo ponte. Anzi, è anche più diretto: «Vogliono un governo tecnico perché vogliono cambiare la legge elettorale per tornare all’Italia che aveva esecutivi con una durata media di undici mesi». E quel «vogliono» è riferito alla sinistra, ma con un accenno ai «professionisti della politica» come Casini che «sostengono le stesse cose» e il pensiero - ma non lo cita - anche a Fini, visto che il Fli non esclude affatto l’ipotesi del governo di transizione. Insomma, se davvero ci sarà la crisi nessuno pensi di poter dare vita ad un esecutivo «contro chi ha avuto il mandato a governare dagli elettori».
La platea coglie il clima da campagna elettorale e si scalda come se davvero si fosse già arrivati al redde rationem. D’altra parte, l’unica cosa che si risparmia Berlusconi sono affondi espliciti a Fini. Anche se in più d’un passaggio l’ex alleato è il convitato di pietra. Quando parla dello «stillicidio» e dei «distinguo» ma soprattutto quando non risparmia colpi sull’asse tra certe toghe e «chi sta in politica» per poi ironizzare su Spatuzza. Berlusconi mette sì nero su bianco l’intenzione di «andare avanti per cambiare il Paese» perché «abbiamo il dovere di farlo», ma lascia chiaramente intendere che la macchina elettorale è già in moto. D’altra parte, martedì Fini riunirà i suoi al piano nobile di Montecitorio per l’atto di nascita del suo nuovo soggetto politico, segno che tutti stanno serrando le fila.
Così, ci sta che Berlusconi faccia un puntiglioso elenco dei «tanti risultati» ottenuti dal governo per poi richiamarsi allo «spirito del ’94», anno della discesa in campo. E senza dimenticare l’elettorato cattolico («continueremo a lavorare sulla famiglia come nucleo fondamentale della società, sulla vita e sulla giustizia sociale»), visto che la polemica delle ultime ore con la Chiesa si porta ancora dietro qualche strascico.

Poi la chiusa tra gli applausi, con la conferma che la campagna elettorale rischia davvero d’essere già iniziata: «Questa settimana lanceremo la capillarizzazione del Pdl con 61mila team della libertà, suddivisi nelle sezioni elettorali, ognuno con cinque-sei missionari della libertà che spieghino alla gente i risultati dell’azione di governo». Insomma, si governa ma «se il Fli verrà meno alla lealtà» si torna alle urne.

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