I personaggi e i fatti che raccontano la storia del nostro Paese in una serie di immagini d'autore

Giorgio Albertazzi, novant'anni il prossimo agosto. Ma non li dimostra. Sembra sempre lo stesso, anche se il tempo è passato, inesorabile. Appena lo senti parlare vorresti ascoltarlo per ore. È la voce di un grande saggio. Di una divinità antica, possente e bonaria; perturbante e misteriosa. Di un imperatore del passato. E imperatore qualche anno fa lo è stato. Splendido nella tunica bianca di Adriano. L'Adriano solitario, disilluso e riflessivo immortalato in uno dei grandi romanzi novecenteschi, Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. La regia era di Maurizio Scaparro, e Albertazzi-imperatore aveva le giuste sembianze. Da tenente a imperatore. Dalla tragedia della guerra alla tragedia del palcoscenico. Dalla realtà alla finzione. La vita del giovane Albertazzi è stata appesa ad un filo. Quando, finite le ostilità, vennero regolati i conti con i repubblichini che avevano aderito o combattuto per la Repubblica di Salò (e Albertazzi, come Dario Fo, era stato fra loro), la dea bendata mise una mano sul capo e sulla chioma fluente del giovane Giorgio. Lo salvò. Una fortuna. Poiché altrimenti la morte ci avrebbe privato di un grande attore, di un signore incontrastato del palcoscenico. Impossibile stare appresso ai ruoli interpretati nella lunga, sterminata carriera di Albertazzi. A farlo esordire fu il fiuto di Luchino Visconti. Il Maestro difficilmente si sbagliava. Nel 1949 lo volle nello shakespeareano Troilo e Cressida, presentato al Maggio Fiorentino. Da quella prima apparizione è stata una cavalcata ininterrotta. Ha giganteggiato nei teatri. È stato anche capace di lasciare il segno quando la televisione statale, negli anni Sessanta del secolo passato, aveva la vocazione dell'erudizione culturale. Indimenticabili le sue interpretazioni nelle riduzioni televisive di Dostoevskij, Fogazzaro, Stevenson (fu un Jekyll strepitoso, che avrebbe meritato una immediata versione per il cinema). Se la cavò bene anche in presenza di minore qualità letteraria, negli abiti impeccabili dell'elegante investigatore Philo Vance. Con il cinema gli è andata meno bene, pur se vanta una presenza nel cult movie del cinema dell'inquietudine, L'anno scorso a Marienbad, del regista metafisico per eccellenza, il francese Alain Resnais; e ben due interpretazioni in opere del mito del cinema-teatrale, Joseph Losey (in Eva nel 1962 e in L'assassinio di Trotsky dici anni dopo). Sul grande schermo non ha avuto la fortuna di Vittorio Gassman, anche se non gli mancavano talento ed eleganza. Insomma, Albertazzi è stato un protagonista della cultura scenica italiana del Novecento. Un talento vero, mai sopra le righe. Si è scavato un posto lontano dalle conventicole che hanno appesantito il teatro italiano.

E adesso, liberato dal tempo, non è più un attore o una maschera, ma una Maestà.

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