I premi partita non sono certo uno scandalo

Ill.mo Sig. Dott. , sono reduce dalla crociera che ha visto partecipare numerosi lettori del Giornale e avrei voluto intrattenerla su di un argomento, ma non sono riuscito nemmeno ad avere con lei un contatto diretto. La pare possibile che vi sia una categoria di persone in Italia (e anche in tanti altri Paesi) che è oggetto di guadagni più o meno legalizzati e sulla quale pare sia proibito discutere? Mi riferisco ai principali attori del mondo del calcio. Ora leggo che un ministro afferma che anche per loro devono imporsi sacrifici, e un altro lo contesta. Io sono sempre stato e continuo a essere sportivo (nonostante l’età) praticante, ma qui non si tratta di sport, bensì di fatto morale che merita una particolare attenzione. Posso sapere cosa ne pensa? Non è il caso che se ne parli con maggior decisione, a prescindere dalla componente «tifo» che non può rappresentare una esimente e dal fatto che i soldi provengono da privati cui arrivano le elargizioni delle reti televisive?
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Be’, è un fatto che le stelle del calcio guadagnano un’iradiddio di palanche, caro Bazini. Ma la loro presenza in campo attira i tifosi (paganti) e induce a sottoscrivere abbonamenti. Il loro talento, poi, consente alla squadra di scalare le vette della Champions League: e più sale, più soldi incassa il club (se ho letto bene, una finale vale una quarantina di milioni). Senza dire che stiamo parlando di soldi dei privati, mentre dove è necessario intervenire per far fronte alla difficile congiuntura è sulla dilagante spesa pubblica, non certo ulteriormente gravata dai compensi dei calciatori. Forse sono pubblici o semipubblici quelli stanziati per il premio partita, dai 50 (terzo posto) ai 240mila euri (primo posto). Ma gli azzurri hanno assicurato che nel caso salissero mai sul podio, un tot (non precisato, però...) del premio verrà devoluto al fondo per la celebrazione del centocinquantenario dell’Unità. Un bel gesto che taglia la testa al toro delle polemiche innescate dall’onorevole Calderoli. Me la sbrigo in fretta, caro Bazini, perché ho un cruccio: quello di esser sembrato scortese con lei (e con chissà quanti altri lettori) nel corso della crociera del Giornale. E sì che ero a bordo proprio per stare con voi, per conversare con voi. La colpa è sicuramente mia, però voi lettori siete troppo educati. In questo mondo cafone e sguaiato tenete - inutile dire che questo vi fa onore - a un comportamento corretto e garbato, mentre dovevate farvi avanti, piantarmisi di fronte, bloccarmi il (malfermo) passo. Al ristorante andava bene, avendo tenuto sempre liberi e dunque a disposizione dei lettori quattro posti. Ma eravate in settecento e passa e non avrei potuto comunque cenare e conversare con tutti. Le altre occasioni, lo riconosco, erano fugaci e rese ancor più laboriose, appunto, dalla vostra buona creanza. Sarà per la prossima volta, caro Bazini.

Sappia comunque che per facilitare le conoscenze, Stefano Passaquindici, che dei viaggi del Giornale è il capataz, farà in modo di ottenere in futuro, oltre naturalmente il teatro dove si svolgono le adunanze collettive, un ambiente a noi riservato, dove magari prendere un tè o un aperitivo favorendo così gli incontri, come dire? Ravvicinati.

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