I rapporti nel Pdl vanno rivisti così

Il dibattito sulla forma-partito del Pdl deve muovere sia dalla storia assai diversa di Forza Italia e di An sia da quello che accade nel mondo occidentale. È evidente che oggi è fondamentale per una forza politica che voglia essere maggioritaria avere un leader carismatico. Obama, Sarkozy, Zapatero, la Merkel, Blair ieri e Cameron oggi, sono esempi chiarissimi. Paradossalmente, ciò vale anche per i partiti «medi» in Italia: Bossi per la Lega e Casini per l’Udc svolgono un ruolo fondamentale. Allora Sandro Bondi ha perfettamente ragione quando afferma che, qualora si volesse risucchiare Berlusconi nella tradizionale prassi politica dei partiti «collegiali» e «paritetici», si farebbe un gravissimo errore. Del resto, da un lato uno dei principali handicap della sinistra italiana è proprio quello di non avere un leader carismatico, dall’altro lato a suo tempo per l’alleanza Forza Italia, An, Lega (che non si sarebbe mai fatta senza di lui), oggi per il Pdl in quanto tale e per la coalizione Pdl-Lega Nord, Berlusconi è fondamentale, perché egli «parla» ad una quantità di italiani del tutto lontani dalla politica che, appunto, Forza Italia ieri, il Pdl oggi come organizzazioni di partito non raggiungerebbero mai. Se questo dato di fondo viene oscurato o se, in nome della collegialità assoluta, qualcuno nel Pdl volesse tarpare le ali al Berlusconi leader carismatico farebbe un atto autolesionistico.
Il discorso non può fermarsi qui. Ovunque, in Occidente, dietro al leader c’è una forza politica assai complessa, organizzata sul territorio, articolata su internet nei blog, nei siti, arricchita da fondazioni politico-culturali. Ciò avviene anche negli Usa, dove pure il presidenzialismo è nella sua forma più forte.
Di conseguenza è un bene e non un male che alle spalle di Berlusconi ci sia un partito forte, articolato sul piano sociale e culturale, attivo sul territorio: là dove questo attivismo sociale e territoriale ha perso qualche colpo, come in aree del Nord, lo spazio non è stato riempito da una sinistra in crisi, ma da una Lega insieme aggressiva e presente in modo capillare. Ma sulla forma-partito del Pdl ci dobbiamo con franchezza misurare con una questione che è stata solo transitoriamente risolta con la ripartizione percentuale fra Forza Italia e An basata sul 70-30. Il problema è costituito dalla profonda asimmetria fra l’«essenza» di Forza Italia e quella di An non tanto dal punto di vista politico-programmatico - dove c’è anzi una sostanziale convergenza al netto del fisiologico pluralismo di opinioni -, ma dal punto di vista di quella che chiamerei la loro «struttura originaria»: da un lato un partito carismatico, casomai attraversato dalla dialettica «monarchia-anarchia», dall’altro lato un partito con un forte leader, ma anche con forti organizzazioni di corrente che costituiscono non una contingenza, ma l’essenza della storia politica di An e la sua ossatura. Ora, questa difformità non può essere risolta solo con la formula 70/30. Inoltre, va fatta anche una inevitabile distinzione che dà una risposta anche ad alcune preoccupazioni attuali: mentre la leadership carismatica è fondamentale e decisiva nella politica nazionale e nelle elezioni politiche ed europee, alle elezioni regionali e locali la leadership deve misurarsi con i partiti regionali e locali: anzi, se così non fosse, se questa dialettica non emergesse, ciò vorrebbe dire che i partiti regionali e locali sarebbero delle strutture puramente nominali e burocratiche, non all’altezza del regionalismo esistente e del federalismo incipiente. Allora i partiti regionali devono avere una forza politica autonoma, in grado anche di confrontarsi con il leader, al quale poi spettano le decisioni finali, ma misurandosi con essi, perché, in caso diverso, la leadership diventerebbe autocrazia o oligarchia: questo non è certamente il caso di Berlusconi, che ha sempre manifestato una grande capacità di ascolto. Questo problema del rapporto fra il leader e i partiti regionali-locali, però, si intreccia con un’altra questione che va affrontata con totale sincerità: quel diverso modo di essere «originario» e in un certo senso «antropologico» di Forza Italia e di An. Con l’eccezione di Cl, che ha una sua apprezzabile storia originale, Forza Italia non ha mai avuto significative correnti interne al di fuori di aggregazioni locali prive di peso nazionale. Invece l’area di An del Pdl, anche in presenza di un pieno consenso politico con Berlusconi, ha un’articolazione in correnti (mi sembra quattro) che hanno una loro rispettabile storia, delle leadership, delle fondazioni culturali, delle strutture organizzative all’interno stesso del 30% (c’è in ognuna di esse chi cura il tesseramento, il sostegno ai candidati alle elezioni, gli organigrammi locali del partito). Questa asimmetria non è un problema di poco conto, anche in presenza di un pieno consenso politico, perché ogni partito, anche il più «angelicato», si basa ovviamente sulla organizzazione e sulla gestione del potere. Allora, insieme al riconoscimento della leadership carismatica, alla definizione dei suoi poteri e dei suoi limiti, al ruolo politico svolto dalle sedi istituzionali di dibattito e decisione politica del Pdl, bisogna affrontare questo nodo che non va sottovalutato, anche perché si tratta di un’asimmetria non imputabile a nessuno se non alla storia politica di due partiti assai diversi quali sono stati Forza Italia e An. Il problema non è di poco conto perché sul terreno assolutamente astratto le vie di superamento di questa situazione sarebbero due: o si verifica un processo generale di scomposizione degli aggregati precedenti per ricomposizioni del tutto nuove sulla base di affinità politico-culturali del tutto attuali, oppure - lo dico con una voluta provocazione - è inevitabile che accanto alle correnti di An si coaguli anche una aggregazione derivante di ciò che è stata Forza Italia.

Come ho già detto, formulando queste due ipotesi «astratte», faccio volutamente una provocazione che, però, deriva dalla esigenza che, senza precipitazione temporale e senza drammatizzazioni politiche, il toro venga preso per le corna e della questione si discuta in modo esplicito e trasparente invece di sussurrarlo nel gossip delle agenzie e delle cronache politiche di terzo livello.
Capogruppo Pdl Camera

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