I Savoia si fanno del male da soli

Che delusione! Da sempre leggo «Il Giornale» (conservo in archivio il primo numero). Ora, dopo le continue acide risposte a lettere contro i nostri due Principi Reali, smetto. Poveri Principi esiliati per 60 anni ed espropriati per sempre. Che riconoscenza!


Mi spiace averla delusa, ma dal tono dalla sua lettera capisco che in alcun modo avrei potuto commentare le gesta di Vittorio Emanuele e del figlio Emanuele Filiberto senza ferire la sua sensibilità di devoto alla causa di entrambi. Lei infatti mi imputa di averli trattati da quel che fanno di tutto per essere: personaggi di cronaca. E non, invece, con il riguardo (e le omissioni e le reticenze) dovute a «poveri Principi esiliati per 60 anni ed espropriati per sempre» verso i quali, per sovrappiù, sarebbe d’obbligo manifestare riconoscenza. Vede, io ho un’altissima stima dell’istituzione monarchica che ha portato avanti il mondo per secoli consegnandocelo poi non così male. Avendone l’età, nel giugno del ’46 avrei votato per la monarchia; fermamente convinto che nei momenti di sbando morale e civile una nazione ha più che mai bisogno di simboli nei quali riconoscersi e sentirsi unita (un’evidenza che ha avuto la sua conferma nella Spagna post-franchista). Però non dovrei esser io a rammentarle che nel mestiere di Re ci sono dei rischi: anche di perdere - e non metaforicamente - la testa, figuriamoci quello di esser deposto. L’importante, in simili frangenti, è cadere in piedi, accettando con dignità il fatto compiuto. Non mettersi a frignare per il duro (duro?) esilio e, goffamente trascinando la Storia sul banco degli imputati, avanzare pretese di risarcimento. In contanti. D’altronde, a proposito di Storia, quando i Savoia si annetterono il Regno delle Due Sicilie non ebbero certo riguardi né per la persona di Francesco II né per i suoi beni, che gli furono spogliati fino all’ultimo tornese, fino all’ultimo cucchiaino da caffè.
Credo che lei almeno in questo concordi con me: portare il nome dei Savoia, come di qualsiasi altro casato appartenente all’epos, alla identità di una nazione, comporta delle responsabilità. Che si traducono nel decoro dell’esistenza, nella discrezione e nell’irreprensibilità. Su come agire, Vittorio Emanuele ed Emanuele Filiberto avrebbero potuto prendere esempio da quel monarca galantuomo che fu il rispettivo padre e nonno. Hanno invece - e purtroppo - preferito ispirarsi all’ultimo dei furbetti del quartierino. Non c’è niente di male a frequentare biscazzieri e a reclutare battone. Però si corre il rischio d’esser noti, al pubblico e al magistrato, solo per quello. Non c’è niente di male a fare il giullare pubblicizzando le olive in salamoia o ad affidare il proprio nome e la propria immagine di candidato al Parlamento repubblicano a personaggi già in galera con l’accusa di rapporti con la mafia o sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato. Ma ciò significa far strame di secoli di storia e di quanto, nel bene e nel male, Casa Savoia ha espresso.

Non sono dunque le mie «acide risposte» a menar danno: son loro, i «poveri Principi», a farsi del male, cosa sulla quale si potrebbe benissimo passar sopra se non ne facessero anche al nome di un casato che ha fatto la storia d’Italia e che pertanto meriterebbe d’essere trattato con maggiore rispetto. Principalmente da chi ne fa parte.

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