I tre soldati italiani uccisi dalla sfortuna

Un incidente. Né più e né meno che saltare su una mina travestita da vecchio copertone d'autocarro. Solo che stavolta sono morti affogati. Stavano guadando con un mezzo blindato un corso d'acqua che scendeva rombando da una gola nello Shindand, distretto della bellissima e fatale provincia di Herat, a occidente, dove l'Afghanistan stinge nelle montagne iraniane. E come sia successo nessuno lo sa, ma non è che importi poi molto. La forza dell'acqua, un avvallamento non calcolato, una manovra infelice, l'acqua gelida e torbida che entra nell'abitacolo e ti disorienta, mentre cerchi a tentoni lo sportello, la maniglia, la sicura... Una di queste combinazioni, o forse tutte insieme.
Sono morti così Francesco Currò, 32 anni, di Messina, Francesco Paolo Messineo, 28 anni, di Palermo, e Luca Valente, 27 anni, di Gagliano del Capo, in provincia di Lecce. Tutti e tre, col grado di caporalmaggiore, servivano nel Sessantaseiesimo Reggimento di fanteria Trieste che ha sede a Forlì. Un reggimento inquadrato nella brigata aeromobile «Friuli» di Bologna e attualmente schierato nell'ovest, in quella fetta di Afghanistan, con epicentro Herat, che è stato destinato al nostro contingente. Sono le prime vittime del 2012. Nove, compresi Currò, Messineo e Valente, quelli morti per incidenti di vario genere. Quarantanove, complessivamente, i caduti dall'inizio del conflitto.
Il fatto è che non sai mai come puoi morire. Sai solo che può accadere, in guerra; e dunque tanto vale metterlo nel conto. Puoi morire in combattimento, o saltando su una mina, o in un incidente stradale. Saranno sempre squilli di tromba, bandiere al vento, generali e capi di Stato con la mano sul cuore, vescovi che reciteranno parole alate, e quelle parole: «eroe... eroismo... eroico...», che arriveranno con un suono opaco, come una smorta eco, dentro la cassa dove riposerà il corpo di un giovane che non ha avuto fortuna. Intorno, le lacrime di chi gli voleva bene: madri, padri, figli, fratelli.
La dinamica dell'incidente - un abbozzo di dinamica - è contenuto tutto in uno scarno comunicato diffuso dal Comando Regionale Ovest. Vi si dice che il nostro mezzo blindato, un «Lince», era impegnato in una operazione di recupero di una nostra unità bloccata da qualche parte per via delle condizioni meteo ferocemente avverse. C'era un corso d'acqua, il «Lince» vi si è avventurato, contando di restare in assetto, e invece si è ribaltato, intrappolando al suo interno i nostri tre uomini. Un quarto, forse il mitragliere, quello che col corpo sta già per metà fuori dal mezzo (e che in circostanze normali è quello che rischia di più) si è salvato, sganciando l'imbragatura di sicurezza e lasciandosi andare nell'acqua gelida.
E questo è quanto.
Il resto lo immaginate da voi.

Una mamma in lacrime che contava «i giorni che mancavano al suo rientro»; i compagni di scuola sconvolti, i sindaci costernati («una perdita che ha scosso l'intera comunità»); gli immancabili funerali di Stato e la nota del presidente della Repubblica, che esprime «i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari dei caduti, rendendosi interprete del cordoglio del Paese».

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