Insieme a Stranger things, La casa di carta si contende il ruolo di serie rivelazione, inizialmente fenomeno di culto diventato, con la seconda serie disponibile su Netflix dai primi di aprile, uno dei casi televisivi dell'anno. Diverse le ragioni di tanto successo, in particolare tra il pubblico più giovane: diretto da Alex Pina, è il primo prodotto in lingua spagnola che spezza il monopolio americano e rispetto alle storie italiane riesce a sottrarsi dagli eccessi di localismo e regionalità. Esisterebbe dunque una via europea della nuova tv che La casa di carta organizza attorno a un pretesto narrativo molto semplice, l'occupazione della zecca di Stato da parte di una strana banda dove tutti sono vestiti di rosso e indossano - ovvia la citazione dal primo memorabile film Point Break - maschere che ricordano le facce surreali di Salvador Dalí. Non si tratta però della classica rapina ma del tentativo, utopistico, di stampare denaro pulito, auspicando cioè il sovvertimento delle regole o quanto meno la messa in crisi del sistema capitalistico.
L'accensione del racconto non sarebbe però sufficiente a dipanarsi in così tante puntate, ed è annunciata una terza stagione nel 2019 nonostante il finale pressoché perfetto della seconda. Si sprecano i colpi di scena, si complicano le relazioni tra i personaggi, da principio tra i rapitori (non conosciamo il loro nome, a ciascuno è stato imposto il nickname di una città), quindi tra loro e gli ostaggi secondo la famosa logica della Sindrome di Stoccolma. Su tutti il Professore, carattere indubbiamente riuscito, l'elemento che funziona da depistaggio continuo, le cui motivazioni si ribaltano grazie agli insistiti flashback. Quando pare che gli investigatori siano sulle tracce giuste, accade sempre qualcosa a riportare indietro il corso degli eventi. Proprio lui, il Prof, che ha vietato i rapporti interpersonali per non compromettere il risultato dell'impresa, intrattiene una pericolosa e contraddittoria relazione con l'ispettrice di polizia.
Avvincente e solida, La casa di carta si prende però rischi strutturali che ne mostrano qua e là alcuni limiti nella scrittura. A tratti i dialoghi risultano forzati, troppo lunghi e teatrali, un vizio diventato maniera in molte serie che vorrebbero essere innanzitutto d'azione. Il patchwork di generi e sottogeneri non sempre funziona e la progressiva trasformazione in psicodramma sentimentale indubbiamente ci distrae. La scelta del racconto corale, con un'infinità di personaggi, è davvero rischiosa ed è difficile riuscire a tenere tutto insieme.
Non sarà un capolavoro, eppure l'originalità
stilistica della confezione colpisce là dove la serie scavalca il puro ambito televisivo per diventare piccolo fenomeno di costume, amato in particolare da chi insegue momenti di trasgressione, paradossali quanto adrenalinici.
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