Un impianto dal passato travagliato

La centrale nucleare di Krško, la cui proprietà è a metà fra Slovenia e Croazia, all’epoca parte della Jugoslavia, è stata collegata alla rete elettrica nel 1981, ma è diventata operativa nel 1983, in seguito ad alcuni problemi al reattore.
Costruito dalla statunitense Westinghouse funziona con 121 elementi di uranio arricchito e acqua distillata come rallentatore e fornisce una potenza da 696 Mw, che viene incanalata da 33 fasci di barre di argento, cadmio e indio. Già in passato il reattore, che è del tipo Pwr (Pressurized Water Reactor) e fa parte della cosiddetta seconda generazione di centrali, successiva rispetto a quella di Chernobyl, era stato al centro di numerose polemiche sollevate principalmente da Italia e Austria e una Commissione internazionale aveva espresso nel 1993 74 raccomandazioni su cambiamenti tecnici necessari per adeguarsi ai severi standard dell’Ue. Nel 2000 sono stati installati due nuovi reattori prodotti dalla Siemens e sono stati fatti altri interventi per circa 105 milioni di euro e la produzione massima era stata aumentata del 6%, arrivando a superare i 650 Mw.
Oltre al reattore, secondo l’associazione ambientalista Greenaction Transanational, un altro pericolo sarebbe costituito da eventuali scosse sismiche. «La faglia che passa vicino alla centrale nucleare - scrive sul proprio sito l’associazione - è all’origine dei terremoti che ciclicamente colpiscono l’area e che hanno completamente distrutto Lubjiana già due volte, nel 1511 e nel 1895».


Nelle vicinanze sono custodite anche le scorie nucleari prodotte, che vengono stipate in un deposito che raggiungerà la massima capienza fra tre anni. La data stabilità per la chiusura dell’impianto, invece, è il 13 gennaio del 2023, mentre i successivi lavori di smantellamento si dovrebbero protrarre per ulteriori 13 anni.

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