Ma è impossibile ingabbiare una gioia anarchica

Ma è impossibile ingabbiare una gioia anarchica

Ai bambini si insegna che bisogna leggere i libri. Poi diventano grandi e, se mai entrano in una libreria, si comprano le avventure erotiche di Melissa P., l’ultimo romanzo cannibale di Aldo Nove o, bene che vada, Il codice da Vinci. Chi ha detto che leggere sia sempre e comunque l’opzione migliore? Con tutti i brutti libri che si pubblicano, non è meglio tante volte un film, un cartone animato, una scampagnata? E allora è forse opportuno scalzare dagli altari il feticcio della lettura.
La lettura come attività suprema, come obbligo a cui assolvere per diventare adulti perbene, come forma più alta di comunicazione e di apprendimento: non sarebbe meglio evitare di inculcare tutte queste idee nel cuore ingenuo dei più piccini, lasciando loro la scoperta del libro come libera scelta, come avventura personale? Il rischio, ben noto e già verificato, è altrimenti quello di imbalsamare i libri in una cornice di noia. La gioia della lettura è sempre anarchica, è una fuga dai canoni e dagli obblighi, un’evasione. Mentre i testi per bambini oggi sono tutti molto politicamente corretti e perbene, tutti contro il razzismo, contro la guerra, contro l’inquinamento.
Viene in mente quello che diceva anni fa Umberto Eco, promettendo per Natale a suo figlio un carico di pistole e fucili giocattolo, a onta degli ammonimenti dei pedagogisti contro i giochi violenti: di sicuro il dottor Goebbels ha passato un’infanzia tristissima sempre curvo sul suo Meccano. Del resto, se ci atteniamo ai canoni scolastici, tutte le grandi antologie di favole dell’umanità, dal Cunto de li Cunti di Giovanbattista Basile fino a Charles Perrault, sono diseducative. Nessuno oggi raccomanderebbe quelle storie dove il lupo si mangia Cappuccetto rosso e il Principe mette incinta la Bella Addormentata senza svegliarla. Eppure ai bambini piacerebbero molto, come piacevano ai coltissimi gentiluomini napoletani e parigini del Seicento.
Ci sono storie che funzionano da sempre. C’è un bambino che possa preferire i libri di Gianni Rodari alle avventure di Ulisse? È che le storie, a grandi e piccini, bisogna saperle raccontare. E la scuola non sempre è l’ambiente più attrezzato per lo sviluppo della fantasia. Un’altra vulgata pretende che oggi i bambini siano stati rovinati dalla televisione, dalla civiltà delle immagini, che ha tolto tempo alla nobile attività del leggere. In verità, da sempre i bambini crescono guardando e ascoltando, più che leggendo. E se c’è qualcosa che i bambini hanno disimparato è proprio guardare e ascoltare. Altro che trionfo dell’homo videns! La televisione oggi è solo chiacchiericcio di grandi fratelli o di famosi rinchiusi nelle loro isole. La potenza delle immagini è ancora tutta da esplorare: i bambini ben la conoscono, cerchiamo di fare in modo che non la perdano per strada.

E che dire della musica? Si cresce meglio ascoltando Mozart o leggendo, per dire, Cuore di ciccia di Susanna Tamaro?
Insomma, non preoccupiamoci troppo se i nostri piccoli non leggono libri su libri. E non attribuiamo alla scuola compiti che non può assolvere. Anche perché resta sempre valida la massima di Leo Longanesi: «Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola».

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