Politica

Indigestione di parole

L’ultimo vertice sulla fame nel mondo si era concluso con un'abbuffata di aragoste e foie gras. Questo, invece, si conclude solo con un'indigestione di parole. Il risultato non è poi molto diverso: a Roma si continua a chiacchierare, in Africa si continua a morire. E noi continuiamo a chiederci perché spendiamo miliardi per finanziare convegni ai burocrati della Fao, anziché usarli per aiutare i bambini denutriti. Sarà ingenuo ma nessuno ci ha mai risposto: quanti piatti di minestra valgono tre giorni di solenni celebrazioni? Quanti sacchi di farina si potrebbero comprare rinunciando a colazioni di lavoro, suite reali, tartine, mousse, spumanti, note spese alla boutique e lunghi cortei di auto blu?
Per carità, in questi incontri si pronunciano frasi inattaccabili. Su cui concordiamo in pieno. Tanto per dire: ci ribelliamo anche noi, come dice il presidente Ciampi, alla «strage silenziosa». Come si potrebbe sostenere il contrario? Vogliamo «dare un impulso alla lotta alla povertà», come sostiene il direttore generale della Fao, Diouf. Naturalmente nel rispetto dei valori di «condivisione e solidarietà», come proclama il cardinal Sodano. Ci mancherebbe. Siamo tutti d'accordo. Ma poi? Che succede un minuto dopo la fine del discorso ufficiale? Tutti a consolarsi al buffet? «Caro delegato, ha sentito? Condivisione e solidarietà, ma intanto assaggi questo filetto d'oca con olive». «Sì, buonissimo. Ora provo il salmone ai tre pepi e poi penso a dare un impulso alla lotta alla povertà».
Il piatto di chi ha fame resta vuoto, purtroppo. E quello dei delegati, invece, sempre pieno. Questa volta, poi, si è riempito anche di polemiche. Eh sì, perché la novità dell'ottobre 2005, giornata mondiale dell'alimentazione in occasione del sessantesimo anniversario della Fao, è che non c'erano solo discorsi nobili e piuttosto inutili. C'erano anche i discorsi inutili e piuttosto ignobili. Come quello del presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, uno che da anni affama la sua gente, e che, invitato non si sa bene perché, a parlare sulla fame nel mondo, non ha avuto altra idea migliore che paragonare Bush a Hitler. O come quello del presidente venezuelano Hugo Chavez, che appena arrivato a Roma ha trovato in un batter d'occhio la causa di tutta la denutrizione mondiale: «l'imperialismo americano», naturalmente, «vera minaccia del pianeta».
Ma certo: qual è la vera minaccia del pianeta? Bush. Eccome no. Ecco lì, il nuovo Hitler, lo sterminatore di bambini, prosciugatore delle scodelle del Terzo Mondo. Perché in Bangladesh non hanno nulla da mangiare? Colpa degli Usa, è chiaro. E perché nello Zimbabwe la gente muore di stenti per strada? Perché Mugabe, da vent'anni al governo, ha distrutto tutto quello che c'era da distruggere? Perché non ha pensato a costruire null'altro che non fossero il suo potere e la sua ricchezza personale? Ma no, è chiaro: la responsabilità è tutta degli americani. Yankee go home. E Mugabe l'affamatore, invece, a dar lezioni su come si sconfigge la fame nel mondo.
O bella Fao, che brutte celebrazioni. A parte il fatto che è già piuttosto assurdo che un ente così pensi di festeggiare i suoi 60 anni di vita. La vera festa, a pensarci, sarebbe stata se la Fao in 60 anni fosse sparita, insieme alla fame nel mondo. Le due cose, al contrario, sembrano crescere di pari passo. Che cosa ha ottenuto la Fao da quando è nata? Quanti miliardi di dollari ha sprecato? Quanti dollari sono stati spesi davvero per aiutare i poveri? E quanti invece per mantenere le sempre più lussuose strutture? Quando fu eletto nel 1994, il direttore generale Diouf, che oggi vuole dare un impulso alla lotta alla povertà, aveva promesso di ridurre i costi del personale e la burocrazia interna. Risultato: in pochi anni sono state assunte 3600 nuove persone. Tutti ottimi stipendi, benefit, targa diplomatica, scuole prestigiose per i figli, duty free dove non mancano mai le borse griffate Coveri e lo champagne Cordon Rouge, locali convenzionati dove distrarsi con musica araba e danza del ventre, «trattamento riservato dipendenti Fao». Era questo l'impulso a lottare contro la burocrazia? E allora, se tanto mi dà tanto, come sarà l'impulso a lottare contro la povertà?
«Comincio a pensare che quella sia l'organizzazione per mantenere la fame nel mondo...», diceva qualche tempo fa Gino Strada. Che ci tocchi dare ragione persino a lui? Fateci caso: ogni volta che gli alti vertici della Fao si riuniscono, non fanno altro che ripetere quanto il problema della denutrizione sia drammatico. Ma sono lì da sessant'anni: perché, intanto, non cominciano a fare qualcosa? Perché non riducono i buffet e le colazioni di lavoro? Perché non aboliscono questi meeting e queste celebrazioni? Magari la fame nel mondo resta uguale. Ma se non altro evitiamo di perdere tempo, di buttare soldi.

E di ascoltare scemenze in libertà come quelle di Mugabe e Chavez.

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