Infieriscono sulla casa e difendono la spesa

La manovra di Monti non è per niente rivoluzionaria, anzi ripropone ricette di trent'anni fa. Colpiti casa e consumi, ma il peso dello Stato non viene ridotto

Infieriscono sulla casa e difendono la spesa
Ieri il Wall Street Journal , nella sua versione che si vende solo negli Stati Uniti, aveva tre foto in prima pagina del nostro mini­stro del Lavoro, Elsa Fornero, e del suo pianto. Quello che è sgor­gato quando ha parlato dei tagli alle pensioni. Un anglosassone potrebbe convincersi del grande sacrificio fatto da noi latini nel ridurre finalmente il nostro debordante stato sociale. Ovviamen­te niente di più falso. Ieri Claudio Borghi ha spiegato bene sul Giornale quanto sia necessaria la riforma previdenziale e che co­sa ci sia di buono nella riforma Monti. Ma il punto

fondamentale della manovra Monti (piaciuta ieri ai mercati) è che essa è tutto tranne che rivolu­zionaria: difficile immaginare un intervento più in linea con quanto fatto dai governi che lo hanno pre­ceduto negli ultimi trent’anni. Ve­diamo perché.

1. Come sempre avviene in Ita­lia le correzioni del deficit si fanno con l’aumento delle imposte e in minor misura con la riduzione del­la spesa pubblica. «Rimettersi in carreggiata» dalle nostre parti vuol dire aumentare tasse e ruolo dello Stato e non il contrario.Giova ricor­dare che ogni anno l’Italia impiega la bellezza di 730 miliardi di euro in spesa pubblica. A questa monta­gna si devono aggiungere i 70 mi­liardi (dati 2011) di uscite per inte­ressi, che sono incomprimibili e in aumento. Tagliare la spesa pubbli­ca, significa riformare le leggi che la generano e sradicare le strutture che la succhiano. Da noi le leggi so­no per definizione di spesa e mai di potatura.

2. Tuttiigovernichesisonosu­c­ceduti dal 1994 in poi hanno messo mano alle pensioni. Anche in que­sto il governo Monti non brilla di originalità. La Fornero è un buona compagnia: e se lei piange, Dini si sarebbe dovuto suicidare per la du­rezza della suo intervento e Maro­ni (quello del Lavoro) nascondere in una grotta afghana. Anche Prodi nel suo ultimo governo durato due anni è intervenuto: anche se per una volta (unicum nella nostra re­cente storia) per rendere meno stringente una riforma ereditata dal passato. Gli interventi sulle pen­sioni si assomigliano tutti: punta­no a fare cassa giocando sull’età contributiva o di pensione e sulle diverse rivalutazioni delle pensio­ni. Questo potrebbe essere l’ulti­mo intervento? Chiunque le abbia riformate ha promesso (smentito) che era la volta buona. Vi diciamo subito che il capitolo dei circa 5 mi­lioni di subordinati, ad esempio, è tutt’altro che chiuso.

3. L’imposta più amata dai no­stri governi è quella sul mattone: per il banale motivo che esso non riesce a scappare. Per gli italiani sa­rà una botta considerevole. Non ci addentriamo nel merito, ma segna­liamo due tipicità. Come spesso av­viene per le imposte in Italia la sua effettiva consistenza la capiremo il giorno in cui andremo a pagarla con il bollettino postale. Gran par­te delle simulazioni fatte sino ad ora sono un’approssimazione di ciò che avverrà davvero. E come tut­te le imposte sugli immobili essa ha un carattere espropriativo: ogni anno rischi di darmi un pezzettino della casa in cui vivi. Se ce la fai con il reddito netto che ottieni dal tuo la­voro, bene. Se non ce la fai sono af­fari tuoi: venditi la casa. Esagerato? Ma figurarsi.Chi dispone di un bel­­l’appartamento, come unica sua ricchezza dei tempi felici o dei pa­dri generosi, non è automatica­m­ente detto che sia in grado di per­metterselo dal nuovo punto di vi­sta fiscale.

Ovviamente oltre alla casa an­che questa manovra ha tassato la benzina. Il principio è il medesi­mo: come la casa che non può scap­pare, anche della benzina non si può fare a meno.

4. Gran parte delle nostre ma­no­vre fiscali nascono dal pregiudi­zio e questa non si sottrae. L’idea di fondo è che la ricchezza sia figlia del peccato. La versione aggiorna­ta è che essa derivi dell’evasione. Chiunque abbia una bella casa, un bella auto, un aereo, un corposo dossier titoli in banca deve pagare molto di più. Ma non per contribui­re maggiormente alle spese della società. No. Il motivo fondante è un altro e cioè che la sua ricchezza è un indice presuntivo di evasione. Se ho in garage una Porsche da 100mila euro è facile che sia un eva­so­re e dunque attraverso quella ga­bella devo pagare ciò che non ho pagato prima. La presunzione eva­siva ha cancellato la lotta di classe: non sono più i lavoratori a essere sfruttati, ma la pluralità dei cittadi­ni ad essere gabbata da un manipo­lo di grandi evasori.

5. Comeintuttelemanovrean­che in questa si è scritto nero su bianco, che è meglio non fidarsi dello Stato. Chi scrive non ha ama­to i cosiddetti scudi fiscali di Tre­monti (per chi ne avesse voglia c’è tutto sul blog la Zuppa di Porro), ma una volta che palazzo Chigi pro­mette qualcosa a un suo contri­buente deve mantenerlo. Come ha promesso agli italiani che rimpa­triavano 100 miliardi di euro, tota­le segreto e immunità fiscale e pe­nale (giusto o sbagliato che sia, ciò era scritto nel contratto) e ora tassa di nuovo, anche se di poco, quei rimpatri? Nessuno si alzerà per di­re che il comportamento è da Zim­babwe ( paese che si scomoda inve­ce in tante altre nostre manchevo­­lezze), ma il punto è che questa tas­sazione retroattiva è uno scempio nel rapporto cittadino-Stato. An­che per chi delinque o è in galera lo Stato deve avere una parola sola, fi­gurarsi per chi è un presunto evaso­re. Chissà cosa ne pensa il neomini­s­tro Passera, che tanti di quei conti scudati aveva nei suoi registri di In­tesa.

6. Come in tutte le manovre fi­scali si rimandano al giorno dopo le misure per lo sviluppo. Abbiamo ragione di ritenere che il governo Monti avrà una forza liberalizzatri­ce superiore a quella dei governi che lo hanno preceduto. Ma resta­no due obiezioni. Lo sviluppo di un paese pensato per decreto, dimo­stra quanto poco i nostri politici o i nostri tecnici sappiano di che cosa davvero sia uno sviluppo che na­sce dal mercato o non dalle norme, anche le più belle, scritte da un bu­rocrate. Seconda obiezione: la mi­sura di sviluppo più forte si chiama riduzione del peso dello Stato, in ogni settore. L’opposto di quanto facciano manovre che drenano ri­sorse dai privati per farle gestire ai funzionari pubblici. Chi scrive ritie­ne che faccia meglio, al nostro siste­ma paese, un ricco che si compri un’auto da 100mila euro piuttosto che un prelievo dei medesimi quat­trini dal medesimo ricco a benefi­cio delle casse dello Stato. Nel pri­mo caso si mette in moto il merca­to, la produzione, i servizi e la com­petitività per accaparrarsi l’affare, nel secondo solo la cogenza di una legge da far rispettare nel modo più stringente possibile.

Chi ci ha sempre governato ha per il 90 per cento dei casi fatto par­t­e di una classe dirigente che si è vi­sta piovere nelle proprie tasche uno stipendio che non è dipeso da­gli andamenti dell’economia rea­le, ma dalla benevolenza di un ap­parato pubblico. Chi ci continua a governare sono stimati professori, burocrati e alti dirigenti che devo­no la propria fortuna alla loro capa­cità di salire i vertici della società parapubblica di cui è fatta l’Italia. Sono persone degnissime che han­no rapporti stretti e consolidati con i loro pari grado che governa­no l’Europa. Purtroppo per noi una gran parte dell’Italia, quella che produce il Pil, è dall’altra parte della barricata. È quella che li sti­pendi li paga e non li riceve. È quel­la che la macchina di lusso se la compra e non la ottiene come frin­ge benefit . È quella che la casa la compra,magari un po’ pacchiana, ma non gliela concedono come ap­pannaggio. Ecco, quell’Italia lì, un po’ cafona,che quando ha un euro che avanza dall’azienda labutta in un’auto,è quella che come sempre pagherà il conto di questa mano­vra.

Ma state certi

nessuno dei mini­stri si metterà a piangere per loro: a chi governa di qualsiasi colore e provenienza ridurre le spese fa piangere. Aumentare le imposte per un motivo o per l’altro è sem­pre cosa buona e giusta. Adelante.

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