«Gli ingredienti del vero noir? Slang e proiettili»

È da un po’ che sono finiti i tempi di Messico e nuvole e Cielito Lindo, in cui i turisti fantasticavano fughe sudamericane da sogno, in posti apparentemente incontaminati fatti di sole, mare e buon umore. La visione del Messico che ci propone un noir contemporaneo come Proiettili d’argento (La Nuova Frontiera) di Elmer Mendoza (tradotto con cura da Pino Cacucci) è agghiacciante e cupissima. Dal libro emergono i forti problemi di criminalità che da tempo minano il paese, il crescente disagio sociale, la corruzione presente nel sistema politico locale. Protagonista delle vicende è il detective Edgar «Zurdo» Mendieta che deve venire a capo dell’omicidio dell’avvocato Bruno Canizales, assassinato proprio con una pallottola d’argento. «È un uomo di 43 anni che fa l’ispettore di polizia - ci spiega lo stesso Elmer Mendoza parlando del suo protagonista - È sfortunato in amore, solitario, intuitivo, corrotto, sognatore, abbastanza rispettabile e temerario quando deve affrontare i delinquenti. Gli piace il rock morbido e bere birra e whiskey. Ha paura dei narcotrafficanti ma prova anche disprezzo nei loro confronti e per quanto li eviti, come una maledizione, ha sempre delle relazioni con qualcuno che appartiene a quel mondo».
Qualcuno ha detto che grazie al suo romanzo Un asesino solitario lei è stato il primo scrittore messicano che ha «ricostruito con efficacia l’effetto della cultura del narcotraffico sul Messico», perché?
«L’ha sostenuto Federico Campbell, autore messicano studioso ed amico di Leonardo Sciascia che ha detto questa cosa sul mio romanzo per via dell’uso preciso che faccio del linguaggio di strada, per la forza interna del mio discorso che ha a che vedere con la tensione di attesa negli atti delittuosi e per i profili dei miei personaggi delinquenti, che sono molto simili a quelli reali. Non voglio mai fare sociologia nelle mie storie. Cerco una letteratura che scuota, voglio che il mio lettore senta che c'è qualcosa che sta marcendo e deve sapere cos’è».
Che tipo di noir è il suo «Proiettili d’argento»?
«È un romanzo poliziesco che nelle intenzioni segue le regole: omicidio, indagine, elementi che accelerano e rallentano il ritmo, personaggi sospetti, un po’ di umanità propiziatoria e la risoluzione del caso. All’interno di una cornice sociale di classe media e alta in cui delinquenti, politici, capi di polizia e mezzi di informazione stringono legami e tessono alleanze. Nella mia storia si mangiano prodotti di mare e di terra, si beve, si ama e Zurdo Mendieta si interroga sulla sua vita. C’è una proposta discorsiva dinamica e il linguaggio della strada è importante. Come anche il desiderio di giustizia».
Ci può spiegare cos’è esattamente la Piccola Fratellanza Universale che è al centro della sua storia?
«È una parodia di un’altra fratellanza non così piccola, dove si riuniscono persone sane che mangiano vegetali e praticano il digiuno. Una mia cara amica è morta perché seguiva i loro metodi e non glielo perdono».
Qual è attualmente il panorama della letteratura giallo-noir nel suo paese?
«Sta crescendo e si cerca di scriverla sempre meglio. C’è un gruppo di giovani che faranno meraviglie».


Ci sono autori che crede che in qualche modo abbiano segnato profondamente il suo modo di fare letteratura?
«Certo, e sono anche molti: potrei menzionarvi Sciascia, Camilleri, Lampedusa, Landolfi, Saramago, Batya Gur ma anche Hammett, Chandler, Juan Rulfo, Fernando del Paso, W Faulkneer, Markaris, Mankell e il grande A. Dumas».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica