Ferruccio Gattuso
Siamo tutti equilibristi senza rete, solo che sotto di noi il rischio non è un duro pavimento. Magari. Cè qualcosa di peggio laggiù: cè il ridicolo. Mette un po dansia, effettivamente, pensarci in questo modo: una società semiseria sullorlo del ridicolo. Eppure le cose stanno così e, ad ascoltare l'arguta penna di Carlo Goldoni, lo siamo sempre stati. Ne è a tal punto convinto Eugenio de Giorgi - regista de Gli Innamorati, in scena al teatro Olmetto fino 18 giugno (feriali ore 21, festivi ore 16, ingresso 16 euro) - che la sua piéce adattata dal classico del commediografo veneziano delinea un filo rosso pronto a condurci, dal Settecento attraverso gli anni Sessanta, direttamente ai giorni nostri. Incontrarsi a metà strada nel tempo, per accorgerci che nulla è cambiato, in questo mal dItalia che, in fondo, è anche un mal d'Occidente. Se non dellUomo.
«Specchiatevi, o giovani, in questi Innamorati chio vi presento; ridete di loro, e non fate che si abbia a rider di voi», scriveva Goldoni nel 1759, presentando questa divertente commedia scritta nel giro di soli quindici giorni, durante un viaggio che, da Roma, doveva riportarlo a casa, a Venezia. «E a questo, oltre che al puro divertimento, serve Gli Innamorati - spiega il regista e adattatore Eugenio de Giorgi - Assistere a questa storia fa aprire gli occhi: Goldoni fa un quadro impietoso della borghesia veneziana, disposta a svenarsi in villeggiatura perché affetta da megalomania. Io non ho fatto altro che portare la vicenda dalla Milano del Settecento al Lido di Venezia degli anni Sessanta, uno dei luoghi in dellepoca, dove bisognava esserci, per contare».
Sfruttando una scenografia minimale - alcuni teli bianchi a evocare i capanni di uno stabilimento balneare, un paio di sdraio e qualche accessorio nel vestiario, tipico del decennio della Vespa e dei mangiadischi - questa particolare versione de Gli Innamorati si affida con allegra spudoratezza alla musica: «La colonna sonora - spiega de Giorgi - è protagonista quanto gli attori: le note dei classici estivi anni Sessanta, da Abbronzatissima a 24.000 baci, commentano gli eventi». Eventi che vedono lamore dei giovani Eugenia e Fulgenzio condizionato da gelosie e bisticci: Eugenia teme la cognata di Fulgenzio, Clorinda, e per gelosia si getta tra le braccia del Conte Roberto. Quando però capisce come siano mal riposte le proprie diffidenze, Eugenia si trova a dover recuperare lamato. Il tutto, nel colorito e un po patetico mondo dei villeggianti disposti a spendere e spandere chiedendo magari prestiti al bagnino. «Se penso ai nostri giorni - sorride Eugenio de Giorgi - nei quali la gente è disposta a uccidersi di rate per comprarsi il gippone da esibire in città, magari senza trovare posto da parcheggiare, e poi va avanti a mangiare pane e salame, mi vien da ridere e da pensare alle strigliate di Goldoni. La sete del successo identificato con gli status symbol, lostentazione di un falso decoro, la fama veloce ed effimera, sono malattie di allora e di oggi. Ho scelto gli anni 60 perché in quel periodo di boom economico il materialismo si è fatto più evidente».
Il linguaggio, a fare da intrigante contrasto con la modernità, resta quello di Goldoni, litaliano settecentesco col quale il maestro veneziano raccontò, omettendo i nomi reali, una situazione vissuta mentre era ospite di una famiglia a Milano. La realtà bussava alla porta dellimmaginazione del grande autore veneziano: e lui non doveva far altro che aprire.
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