Insulta, fai fallire e poi compra: ecco il "metodo De Benedetti"

Oggi la campagna sulle escort, vent’anni fa il caso Europrogramme. Ecco come l’Ingegnere usa Repubblica per fare politica e affari

Insulta, fai fallire e poi compra: 
ecco il "metodo De Benedetti"

«Quando il vizio diventa un precedente, è un pericolo». Chissà se Carlo De Benedetti l’avrà mai letto Benjamin Jonson, poeta, drammaturgo e attore britannico che, già nella seconda metà del Cinquecento, puntava l’indice contro chi, spacciandosi per benefattore, aveva il vizio di infilare una mariuolata dopo l’altra. Dubitiamo. Ma, d’altronde, di quale utilità avrebbe potuto essergli Jonson? La storia dell’Ingegnere, la sua strategia, non hanno mai avuto bisogno di particolari ispirazioni.

Si è sempre saputo muovere con destrezza, sospinto solo da un encomiabile fiuto degli affari. E si è sempre lasciato commuovere da certe sgangherate imprese e da imprenditori o risparmiatori spolpati dai debiti e avvizziti dalla depressione e perciò, ogni volta che ha potuto, si è precipitato in loro soccorso. Con la tecnica delle quattro mosse per arrivare allo scacco vincente. Primo: operazione di delegittimazione (oggi, forse, si preferisce usare il termine sputtanamento) dell’obbiettivo individuato, affidata ai giornali di proprietà (mettiamo Repubblica, per esempio). Secondo: un politico o più politici che sostengono la sua idea magari con un provvedimento ad hoc. Terzo: l’Ingegnere che grazie a quel provvedimento e/o alla campagna stampa allarmistica compra a prezzi stracciati ciò che invece varrebbe sulla carta molto di più. Quarto: la magistratura che indaga, ma alla fine assolve puntualmente De Benedetti. Il modus operandi che abbiamo testé sintetizzato è scritto nel dna dell’Ingegnere, tanto che si può ritrovare pari pari nella vicenda Europrogramme.

Lanciato e ideato con grande successo (75mila sottoscrittori, duemila agenti che raccolsero fiducia e denaro in tutt’Italia) dal finanziere italo-elvetico Orazio Bagnasco, nel 1969, il fondo d’investimento (un fondo di diritto svizzero, autorizzato ad operare in Italia, come all’epoca lo potevano fare soltanto altri otto analoghi fondi lussemburghesi) finì per una rocambolesca quanto surreale vicenda in liquidazione vent’anni dopo. Liquidazione che non fu mai accettata supinamente dai sottoscrittori (anche se alla fine furono in gran parte risarciti dei 615 miliardi di lire investiti, con una cifra nel frattempo lievitata a 880 miliardi) che, riuniti in un comitato di ben 25mila aderenti, e guidati dall’indomito Mario Pretin (autore, fra l’altro, di un libro dal titolo emblematico Furto con stampa) decisero di rivalersi su De Benedetti.

Vediamo perché. Perché, secondo loro, era stata orchestrata una violenta campagna mediatica con articoli allarmistici pubblicati da alcune testate di proprietà dell’Ingegnere (La Repubblica, L’Espresso etc) a firma di Turani, Pansa, Massimo Riva (che occupava anche un seggio in Senato e che da quel seggio fece quanto in suo potere per osteggiare, con l’allora ministro Visentini, il fondo Europrogramme) che, innescando una conseguente fuga precipitosa dei risparmiatori, aveva, di fatto, affossato l’istituto. Non proprio secondario fu il ruolo giocato in quei tempi da Bruno Visentini che, da ministro delle Finanze, ma mentre era anche presidente della Olivetti (sì, proprio l’azienda che fa rima con De Benedetti) caldeggiò e - approfittando di una vacatio legis proprio in tema di fondi - varò un decreto che stabiliva un’aliquota del 30 per cento (poi ridotta in sede di approvazione al 18) sulle plusvalenze, ancorché da realizzare. Un provvedimento che diede la definitiva spallata a Europrogramme.

L’interpretazione, diciamo più vicina alla verità, su questa curiosa storia venne a galla in tutta la sua drammaticità quando, alla fine dell’89, si scoprì che gli immobili di Europrogramme erano stati acquistati dalla Sasea appartenente al finanziere fallito Florio Fiorini, arrestato in Svizzera tre anni dopo ed estradato poi in Italia. In buona sostanza Fiorini, tramite la società ginevrina Reh, aveva pagato il tutto con obbligazioni per 500 milioni di franchi svizzeri e grazie a un credito di altri 250 milioni, erogato dalla banca elvetica Ubs e garantito proprio dalla Cir di De Benedetti. Dietro la Sasea, insomma, sosteneva e sostenne a lungo il comitato costituitosi tra i sottoscrittori, c’era l’Ingegnere. Che prima aveva affossato Europrogramme e, al momento buono, ne aveva comprato il patrimonio con poca spesa.

Che non si fosse andati molto lontano dalla realtà in questa ricostruzione lo dimostra l’indagine sui rapporti De Benedetti-Fiorini avviata anche dalla Procura di Milano (pm Luigi Orsi), che decise di inviare gli uomini della Guardia di Finanza a perquisire gli uffici della Lasa, l’immobiliare (controllata da Cir) che aveva acquistato la Reh. L’inchiesta Europrogramme coinvolse anche cinque ex manager del gruppo Cir sospettati di falsa testimonianza ma, alla fine, tutto esplose in una bolla di sapone. Come la definitiva sentenza d’archiviazione del 4 dicembre del 1998 che giunse dai magistrati del Canton Ticino, competenti per territorio: «Nessuna prova», conclusero i giudici, che Carlo De Benedetti avesse orchestrato ad hoc quella campagna di stampa per provocare il fallimento dei fondi e rilevarne a condizioni vantaggiose gli immobili. «Un nesso di causalità - ebbe a commentare all’epoca il procuratore ticinese Bertoli - che francamente, prendendo in esame la denuncia dei sottoscrittori di Europrogramme, non ho trovato. Per questo motivo, più che d’ipotesi truffaldine, qui bisognerebbe parlare di capacità divinatorie da parte di De Benedetti». Già, capacità divinatorie.

Che

portarono, nel caso in questione, l’Ingegnere a impossessarsi di un patrimonio di oltre mille miliardi in immobili. Ma tu guarda che cosa vuol dire saper maneggiare non solo i propri giornali ma anche la sfera di cristallo.

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