Integralisti islamici e sinistra italiana: le vittime tracotanti

Vittorio Mathieu

È difficilissimo trovare analogie tra l’islamismo e l’estrema sinistra, ma almeno un punto di contatto c’è. Lo chiamerò «vittimismo tracotante»: l’atteggiarsi a perseguitati, a discriminati, a reietti e, al tempo stesso, minacciare sfracelli. L’ultimo episodio è dovuto alla pubblicazione di vignette contro Maometto. Poteva essere tacciata di scarso buon gusto, ma ha dato luogo alle solite condanne a morte. Il reato di vilipendio della religione presso i maomettani riceve un’interpretazione estensiva e in mancanza di un organo ufficiale per giudicare (come il Santo uffizio) qualsiasi personaggio autorevole può proporre la sentenza (di morte) e qualsiasi fedele è chiamato ad eseguirla.
La fattispecie in questione è solo una tra le tante. Nel 2002 l’ipotesi di una nigeriana che Maometto sposi miss mondo diede luogo a una fatwa. Era senza dubbio un’ipotesi scorretta: si sarebbe dovuto dire che Maometto (le cui ottime prestazioni sessuali sono state proclamate da altri senza scandalo) sarebbe stato disposto a fare di miss mondo una concubina. Ma irrogare per errore, sia pure malizioso, una condanna a morte non sembra che si addica ai seguaci di un Dio che, almeno per i suoi, è «misericordioso».
Ancor peggio l’interpretazione di un altro attributo di Dio: Allah è grande. Che la grandezza di Allah si manifesti soprattutto nello sterminio degli infedeli è un modo di vedere che risale, purtroppo, al Corano; ma il modo in cui applicano tale dottrina musulmani grandi e piccoli, della cui preparazione teologica è lecito dubitare, fa sì che le minacce truculente siano pronunziate sia da folle di dimostranti, sia da personaggi come Osama Bin Laden: contro gli Usa, contro l’Unione europea, contro l’Occidente in genere.
Il lamento dei fedeli per le violenze dei rappresentanti di Satana non è di oggi: risale al tempo dei Normanni, delle Crociate, dei re di Spagna. Oggi, però, saremo al Punctum flexus contrarii: tra poco chi sarà destinato a rifugiarsi in montagna, appoggiato a un bastone accanto a Condoleezza Rice, sarà George Bush.
Anche il Sol dell’avvenire, nella visione marxiana del mondo, splenderà sulle rovine della massima espansione del capitalismo. Qui la giustificazione ufficiale non è religiosa: è il materialismo dialettico, secondo il quale alla sintesi finale si arriverà attraverso la negazione della negazione. Ma, scavando un po’ al di sotto, ci si accorge che i due vittimismi tracotanti hanno in comune l’origine: le predizioni a tinte fosche dei profeti ebrei ai danni sia di imperi stranieri oppressori, sia dello stesso Stato ebraico che adora il vitello d’oro. Le origini del comunismo, insomma, non vanno cercate nel Manifesto, bensì nel Marx della Questione ebraica.
Il vero pericolo della situazione lo ha indicato un editoriale della Frankfurter Allgemeine Zeitung: è l’arrendevolezza dei minacciati. Che la tracotanza sia altrettanto fasulla quanto il vittimismo - oggi molto più che ieri - non toglie che, crogiolandosi nei complessi di colpa e nella ricerca di vantaggi economici, l’Occidente leghi al trave la corda per impiccarsi. L’ossimoro simmetrico di vittimismo tracotante è il «buonismo incondizionato»: la rinuncia a far valere il principio di reciprocità, su cui si fondano il diritto e la pace.

Reciprocità non significa, ovviamente, rispondere al terrorismo con il controterrorismo: il terrorista, che spara nel mucchio, avrebbe sempre un vantaggio. Quando, però, il terrorista sia individuato, non potrà appellarsi alle convenzioni di Ginevra. Che lui si guarda dal rispettare.

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